L’altra notte, leggevo («La nuova manomissione delle parole» di Gianrico Carofiglio) che per José Saramago la parola «più urgente ed essenziale» è “no” (p. 79). Non avevo finito di pensare al rovescio quando, cinque pagine più avanti, leggevo («L’uomo in rivolta» di Albert Camus) che chi dice “no”, anche se rifiuta, «non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi» (p. 83).
Tra le due pagine, un’altra citazione indiretta (il filosofo e psicanalista argentino Miguel Benasayag) era intervenuta a spiegare i limiti di un “no” che magari marcia, ma non avanza: «L’ideologia del ribelle si fonda su tre enunciati: non rispetto niente, credo che tutto sia possibile, posso cambiare tutto» (p. 80). In breve, ci sono dei “no”, puri o impuri riti di un narcisismo elevato a culto di sé stessi, e ci sono altri “no”, come quelli dei “partigiani” amati da Gramsci contro gli odiati “indifferenti” (e citati alle pp. 93-94): “no” capaci di generare dei “si” aperti a orizzonti più universali e luminosi della propria e limitata ombra.
Nel giardino del mito antico e sempre attuale,
il no dei terreni “adamo”
sempre si nasconde a un Dio che cerca,
perché si è scoperto nudo,
solo vestito di una foglia inutile di fico,
eterna paura della propria ambigua e conosciuta
nudità di amore e di violenza.
Alla fontana di un nuovo giardino,
a un Dio che gli adamo di terra
sempre cerca con angeli di cielo,
un “sì” non si nasconde, ma si affida a generare,
non più paura di ambiguità terrena:
nudità di grazia, povertà e ricchezza
di donna e madre,
Miriàm, fatta con un “sì”, perché no?, “corredentrice”.
Antonio Pinna
(Salmista ad Aristan)
“Per José Saramago la parola «più urgente ed essenziale» è ‘no’.”
Da Salmo 322 I “NO” CHE AVANZANO A “SÌ” – Editoriale di Antonio Pinna (Salmista ad Aristan)