SELVAGGI A CHI?


Editoriale del 5 aprile 2020

Sono tempi, questi nostri, sospesi tra pandemia e sospetto, nei quali i pregiudizi proliferano. Attribuire la barbarie agli altri, orientalizzarne usanze e riti, non è una novità. L’antropologo Bozidar Jezernik, nel suo Europa Selvaggia. I Balcani nello sguardo dei viaggiatori occidentali (EDT, 2010) offre vari esempi, rimbalzati attraverso catene di lasciti orali alla fine dei quali raramente c’è un testimone oculare. Così per l’esistenza di uomini con la coda e donne dai seni talmente cadenti da poter consentire l’allattamento dei neonati fasciati dietro la schiena. Tra i miti consolidatisi nella storia e nella letteratura i più affascinanti sono quelli che si basano su fenomeni di costume che i viaggiatori si spiegano nei secoli prendendo la strada più comoda: quella che conferma gli stereotipi. É il caso delle icone sacre che in alcune zone dei Balcani presentano occhi cavati dalla lama, spregio e “offesa deliberata”, si è detto per secoli, dei turchi o degli albanesi (sussunti nella categoria più ampia dei “musulmani”) nei confronti degli ortodossi. Già descritta nel Settecento, negli anni Ottanta del secolo scorso, questa pratica viene attribuita dalla propaganda serba agli albanesi del Kosovo. Tutto un fiorire di riferimenti storici, dal legislatore Dukagjin che accecò i propri fratelli alla testimonianza di un soldato greco sulle guerre balcaniche del 1912 e 1913. Ma non erano i turchi a cancellare dalle pitture sacre gli occhi per denigrare i santi ritratti. A scavare le orbite erano i cristiani, che da un lato attribuivano alla pietra bianca poteri curativi, dall’altro, erodendo i bulbi sacri, invocavano la guarigione dai problemi alla vista. Una superstizione che per secoli fu fonte di “legittimo guadagno” per i preti, che su richiesta distribuivano le polveri curative. Tra quanti chiedevano la grazia sempre più spesso iniziarono a esserci i musulmani. La storia della barbarie turca, spiega Jezernik, era solo uno degli elementi usati dal popolo balcanico per definirsi europeo, un modo per “saltare sul carro dell’Occidente”. Per emanciparsi attraverso il confronto con culture giudicate inferiori.

 

Eva Garau (Precaria di Aristan)

 

SELVAGGI A CHI? – Editoriale di Eva Garau

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