SIATE FELICI


Editoriale del 1 maggio 2012

Tendiamo a credere che, per essere felici, dovremmo essere più belli, più ricchi, più forti, più intelligenti, più colti, più famosi, più affascinanti. Che dovremmo fare un mestiere più gratificante, ci dovrebbero capitare eventi più emozionanti, dovremmo frequentare donne più belle e amici più simpatici, avere occasioni e incontri più fortunati. Insomma, bisognerebbe essere diversi da come siamo, bisognerebbe non essere noi, ma qualcun altro (chissà chi, poi). E siccome invece noi siamo noi, ci condanniamo a una perenne frustrazione, che è poi l’infelicità. Corredata da un codazzo di vittimismi, lagne e rivendicazioni rancorose. Al contrario, un saggio ci indica la via giusta: “La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa”. La frase non è di un pensatore moderato e remissivo, di un rassegnato celebratore dello status quo, ma nientepopodimeno che di Friedrich Nietzsche. Proprio lui, il cantore del superuomo, il filosofo del vitalismo, ci insegna che la vera debolezza consiste nel voler essere altro da ciò che si è, nel desiderare altro da ciò che si ha, nel vagheggiare di vivere un’altra vita che non c’è. La scontentezza di sé, l’insoddisfazione della propria identità è il peccato originale dell’uomo, che, svalutando la propria vita e valorizzando quella altrui, si imprigiona da solo in un’esistenza meschina, gravata da malumore e invidia. Il superuomo non è allora Superman, bensì un Clark Kent capace di abbracciare la sua vita così com’è: entusiasta della propria professione, non si capacita di come facciano gli altri a sopportare il loro mestiere; non maledice la sorte che lo ha fatto nascere in una città di merda, ma passeggia guardando con affetto quasi sacro le vie e la gente del posto in cui abita; non vorrebbe i migliori come amici, ma considera i suoi amici i migliori; non mitizza con rimpianto le porte chiuse, ma varca con allegria quelle aperte. L’accettazione della vita consiste nel saper infondere nerbo e fragranza a quella che abbiamo, rifiutando la trasfusione di tutto il nostro sangue in donazione alle vene del fantasma di chi avremmo potuto essere, per lasciare esangue chi siamo. E’ infelice chi dispiace a se stesso e felice chi ha pienezza di esistenza e, casomai, come cantava Celentano, gli “dispiace per gli altri, che sono tristi e che non sanno…”.
 
Fabio Canessa
 

COGLI L’ATTIMO

 

Mina e Celentano: Siamo la coppia più bella del mondo

  • MANIFESTO DI ARISTAN


    ANTEPRIMA
  • PROMO ARISTAN ROBERTO PEDICINI


  • INNO


  • IL TEMPO DEI TOPI DI FOGNA


  • CIAO NADIA