L’espressione “primavera araba” non mi ha mai convinto. L’inverno 2011 l’ho passato per strada, a Londra, davanti alle ambasciate: Tunisia, Egitto, Libia, Siria. Sui marciapiedi di Knitsbridge e Hyde Park si osservava la struttura classica della sedizia: la borghesia espatriata a coordinare e i guappi ad arrampicarsi sugli edifici per la sostituzione delle bandiere, in barba ai bobbies. A ribaltamento avvenuto i primi si sono seduti sulle poltrone e i secondi, se sopravvissuti, sul selciato. Lasciamo perdere gli esiti istituzionali. Quindi no, nessuna primavera. Araba? Nemmeno. Il crack finanziario del 2008 ha divaricato le faglie già esistenti nelle cleptodemocrazie del Mediterraneo: Grecia, Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda, vecchi e gloriosi consumatori di patate. Un temporale (quasi tutto) cattolico e mediterraneo che, la cronaca dimostra, persevera gaio e tonitruante in Italia. Immagino puzzi di determinismo, ma in risposta all’ipotesi testé enucleata dovremmo imbracciare le armi. I nostri satrapi sono stati insipienti e corrotti, non violenti. Per questo le armi saranno giocattolo. Dai fucili a piombini alle pistole ad acqua alle fialette puzzolenti tutto è lecito. Ma che sappiano, sappiano che esiste una linea, che l’hanno passata da tempo, e che il popolo inesistente è uscito di casa, si è ripreso la piazza. E osserva. E aspetta. Ha voglia di giocare alla democrazia.
Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan war’s correspondent)
COGLI L’ATTIMO
da Good Bye, Lenin! (2003) di Wolfgang Becker con Daniel Brühl e Katrin Sass