VOGLIO ANDARE A VIVERE A TIRANA


Editoriale del 9 settembre 2018

A Tirana, dove il secolo breve è stato brevissimo, tira un’aria aria nuova. L’accelerazione degli ultimi trent’anni, con le sue rivoluzioni urbanistiche e culturali, ha scavato un’identità postomoderna e decadentistica fatta di contrasti ed energie ancora tutte in potenza. A cavallo tra l’impero e l’Europa, la storia la fa da padrona. La piramide di cemento, museo memoriale di Enver Hoxha, sta in piedi derelitta e simbolica e nonostante le varie proposte di demolizione resiste, simbolo del passato socialista a due passi da Skaderberg Square. Mentre Dubai investe nella costruzione di nuovi grattacieli, i luoghi appartenuti una volta alla nomenklatura si popolano di cafè, musei e locali alla moda. Come spesso avviene è l’arte di strada a spostare gli orizzonti. Sempre più writers lasciano Londra, ormai soffocata da acciaio e vetro, e sbarcano a Tirana, dove tutto è ancora possibile. Chiedere a Franko Dine, che per semplificare è il Banksy che arriva da Vlora. Vlora: la parola sola evoca immagini e memorie sulle due sponde del mare comune. Così si chiamava la nave che nel 1991portò 24000 albanesi verso l’Italia, un giorno di agosto in cui una passeggiata al porto di Durazzo si era trasformata nella rivoluzione. Il resto è la vergona di Bari, le prime pagine dei quotidiani internazionali e le foto di quelli che pochi mesi prima i nostri politici chiamavano ancora “i nostri fratelli dell’altra sponda dell’Adriatico” ammassati e respinti. A Tirana non si dimentica la storia, quella albanese e quella globale. All’università una serie di gruppi di ricerca interdisciplinari studiano l’impero che non c’è più – ma sembra ieri – e il mondo, che è la nuova frontiera, e si ragiona di ambiente e migrazioni. Anche in Albania si percepisce che gli equilibri sono cambiati. Rientra chi era partito e vuole invecchiare a casa, restituendo in investimenti e partecipazione l’assenza di anni. Con loro anche molti italiani, che hanno visto in Albania la possibilità di costruire qualcosa. E gli albanesi che in Grecia sono assediati dalla crisi. E oggi gli eritrei della nave Diciotti. Solo venti, si dice. Vero. Ma il comunicato stampa del ministro degli interni spiega tutto. Collaborazione con l’Italia che una volta ha teso la mano. Soccorso all’Europa (indecisa e sofferente). Nessuna recriminazione sul passato e sulla marginalizzazione di un popolo che proprio in Italia ha subìto una stigmatizzazione indelebile. Una prova generale di populismo. Voglio andare a vivere a Tirana, ora che è appena entrata nella sua adolescenza. Perché a Tirana c’è speranza.

Eva Garau 
(Precaria di Aristan)

Vlora: la parola sola evoca immagini e memorie sulle due sponde del mare comune. Così si chiamava la nave che nel 1991 che portò 24000 albanesi verso l’Italia, un giorno di agosto in cui una passeggiata al porto di Durazzo si era trasformata nella rivoluzione. (da VOGLIO ANDARE A VIVERE A TIRANA, editoriale di Eva Garau)

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