“La verità è indubbiamente più stravagante della fantasia”. La frase di Poe a proposito di sepolture premature ben si adatta anche a ciò che accadeva cinquant’anni fa a New York, nella Factory di Andy Warhol: un capannone argentato in cui decine di artisti si alternavano, giorno e notte, e contribuivano con le proprie idee a creare la “parte selvaggia” descritta da Lou Reed. Walk on the wild side parla di travestiti, droga, prostituzione maschile, sesso; tutte cose che, da Andy, erano all’ordine del giorno.
E all’ordine del giorno c’erano anche gli Screen test. Lou Reed, Nico, Bob Dylan, Salvador Dalì o chiunque passasse per la Factory, doveva fissare la videocamera per quattro minuti; inizialmente poteva anche assumere una posa ma poi inevitabilmente finiva per lasciarsi andare, togliersi la maschera e svelare la propria personalità.
Finito il film ritratto, non aveva più importanza essere se stessi o un altro. L’importante era creare.
Du du ru, du ru, du du ru du, du ru, du ru, du du ru du, du ru, du ru, du du ru du…
Raffaella Mulas
(Oscurologa di Aristan))
COGLI L’ATTIMO
da Songs for Drella (1990) Hello It’s Me di Lou Reed e John Cale