CRITICA GIURASSICA


Editoriale del 14 luglio 2015

I dinosauri irrompono sugli schermi dei cinema di tutto il mondo e fanno strage di pubblico: i 600 milioni di dollari negli Stati Uniti (e in Italia oltre 15 milioni di euro) ne fanno il secondo incasso di sempre per le settimane d’esordio nella storia del cinema. Di fronte a un simile fenomeno, “Jurassic world” diventa un caso sociologico che fa invecchiare di botto i normali criteri della critica professionista, la quale si trova spiazzata a dover giudicare un film del genere con il metro tradizionale, sia esso più dipendente dalla forma o dai contenuti, dall’estetica o dalla morale, per non parlare poi dei valori civili. Qui si tratta di considerare l’impatto prodotto sull’immaginazione del pubblico del 2015 da un kolossal che impiega al meglio la tecnologia più avanzata (un digitale 3D di indiscutibile efficacia) per metterla al servizio di un giocattolone capace di intercettare temi, paure e desideri di oggi, miscelandoli in un cocktail di presa sicura su ogni tipo di pubblico. Il soggetto è talmente risaputo da replicare le tre puntate precedenti di una saga iniziata nel 1993, la sceneggiatura è scritta seguendo un canovaccio prevedibile e piuttosto infantile. A essere nuova, adulta e matura è perciò solo la tecnologia, che ha raggiunto una veridicità degli effetti speciali e una capacità di coinvolgimento così perfette da non avere riscontri precedenti. Il parco divertimenti dove le creature preistoriche vengono fatte rivivere per il divertimento dei turisti e finiscono per ribellarsi seminando morte e terrore compone un plot da avventura classica, di sapore vintage, condita da inseguimenti e molta azione. A fare da corona alla trama principale, ecco la crisi familiare: i due bambini protagonisti non si sopportano tra loro, hanno genitori che si stanno separando e la zia è una fredda manager in carriera. La tragedia nella quale si trovano immersi aggiusterà tutto, unendo i fratelli nella lotta solidale contro quei mostri e la zia scoprirà amore e umanità, fidanzandosi con l’eroe protagonista. Per il buon peso, si aggiungano lotte tra dinosauri buoni e cattivi, da richiamare “Godzilla” e i suoi epigoni del Duemila, alla “Pacific rim”, e un monito contro l’avidità di scienziati che giocano a fare Dio, creando mostri dal Dna sempre più ibrido per attrarre pubblico e quattrini, promettendo ai turisti emozioni più forti. Agli strumenti del critico (psicologie dei personaggi, recitazione degli attori, originalità della trama, progressione narrativa) non tornano i conti. I sociologi si arrampicano sugli specchi per almanaccare i motivi per i quali i giovanissimi si eccitano di fronte ai tirannosauri, finendo col giustificarli con il corto circuito tra i nostri tempi miserabili, minacciati da una biogenetica incontrollata prona al mercato, e la nostalgia per l’epica avvincente di un passato preistorico misterioso e intrigante. La verità è che questo blockbuster sintetizza, con il massimo spiegamento di mezzi di cui il cinema attuale può disporre, l’immaginario contemporaneo, nei pregi e nei difetti: la regia dell’esordiente Colin Trevorrow è anonima, ma non fa niente, perché non è più la regia ad avere il predominio sull’opera, bensì la tecnica e la produzione (firmata Steven Spielberg), che trasformano la sala in un parco divertimenti come quello del film, pronto a regalare emozioni e spaventi, con la differenza che sulla poltrona del cinema non si fa male nessuno. Allontanandosi sempre di più dalla letteratura e dal teatro, il cinema, nell’era della playstation e del virtuale, diventa un luna park tutto epidermico, ma non per questo ignobile. I ragazzi si entusiasmano, i positivisti seriosi recalcitrano, i critici sono costretti a rivedere, come si dice a scuola, le loro griglie di valutazione (altrimenti saranno spazzati via dalla comprensione dei film a venire e del loro mercato), gli esercenti gongolano per l’insperato record al botteghino estivo (in genere abituato a pochi spiccioli) e noi non ci vergogniamo di confessare di esserci divertiti assai. Il cervello ha riposato, ma gli occhi hanno goduto.

Fabio Canessa
preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan

COGLI L’ATTIMO

 

da Il pianeta dei dinosauri (1978) diretto da James K. Shea

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