“Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio
quello della mia
è l’indice,
eppure anche tu hai giudicato.
Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me”.
Così Fabrizio De André nella sua Storia di un impiegato.
Lo spazio tra l’indice e il medio, che eviti ogni equivoca sovrapposizione, è fondamentale, in quanto consente a ciascuno di noi di vederci dal di fuori e quindi di poterci giudicare. È qui che s’incunea l’ironia, che per manifestarsi ha bisogno del gioco dei due piani, di uno spazio intermedio tra l’indice e il medio, tra l’autentico e il costruito, tra ciò che si è veramente e ciò che si vuole apparire. Oggi l’ironia è morta, perché nessuno si giudica più e nessuno accetta di essere giudicato: tutti vanno alla ricerca di facili assoluzioni, basate sulla tendenza a censurare a nostra volta chi ci critica e ci condanna. Non a caso i gesti preferiti e più diffusi sono quello di puntare l’indice per giudicare e quello di mostrare il medio, mentre le altre dita sono tenute in flessione, a mo’ di ingiuria per provocare e insultare. E se si parla di ombrello sempre più raramente ci si riferisce al parapioggia, il significato più frequente è quello dell’omonimo gesto, versione più antica ed elaborata del dito medio alzato.
Con l’ironia a morire è la critica: “una volta”, ci dice ancora De André, “un giudice come me giudicò chi gli aveva dettato la legge… prima cambiarono il giudice e subito dopo la legge”.
Silvano Tagliagambe
(Epistemeudomonologo di Aristan)
COGLI L’ATTIMO
Le parapluie (1953) scritta e cantata da Georges Brassens