Negli anni Settanta un racconto di John Cheever, “Il nuotatore”, polverizzò l’American Dream, il sogno di felicità e ricchezza di ogni cittadino americano, raccontando la storia di un tale che torna a casa attraversando a nuoto le piscine dei vicini. Il suo viaggio diventa una discesa agli Inferi nella disillusione, che rivela a poco a poco a lui e al lettore il fallimento di un’intera vita. Diventò un bellissimo film, UN UOMO A NUDO, diretto da Frank Perry e interpretato da un Burt Lancaster perfetto nel ruolo del cinquantenne aitante che piano piano si fiacca nel fisico e nello spirito, abbattuto dalla verità di un’esistenza fasulla. Nel 2003 Don DeLillo scrisse un romanzo profetico che, con dieci anni di anticipo, rispecchiava magistralmente la crisi contemporanea. Non un cinquantenne, ma un ventottenne squalo della finanza, attraversa Manhattan in Limousine, perché vuole andare a tagliarsi i capelli dall’umile barbiere del padre, dall’altra parte di una New York ingorgata dai manifestanti anarchici (una previsione di Occupy Wall Street), dal funerale di una star del rap, dal passaggio del presidente degli Stati Uniti e dall’allarme per un killer che vuole ucciderlo. Come per l’uomo a nudo, ogni incontro (la moglie, delle escort, le guardie del corpo, alcuni collaboratori) si rivela una tappa di una fatale via crucis. Oggi il canadese David Cronenberg porta sullo schermo COSMOPOLIS, rispettando alla lettera il testo del libro e rispecchiando la pulsione autodistruttiva dell’Occidente con la lenta complessità di un apologo claustrofobico. Difficile riuscire a catturare l’aria del tempo, così apocalittica e terminale, con tanta lucidità. Difficile rappresentare l’impossibilità epocale di essere felici in una società così poco a misura d’uomo e sezionare all’osso la catastrofe della postmodernità in presa diretta. Girato per tre quarti all’interno dell’auto, munita di schermi tv che proiettano le immagini dell’esterno e di monitor che sciorinano le cifre della Borsa, salotto e alcova di un sesso anch’esso ridotto a merce, circondata dalle violenze degli scalmanati rivoltosi che agitano le vie newyorkesi, il film è la pietra tombale del capitalismo e la negazione di ogni riscatto. Una pulsione di morte governa vittime e carnefici, falliti e miliardari. Nell’impianto western da MEZZOGIORNO DI FUOCO si svolge il sacrificio rituale di una società senza speranza, tanto da far ricordare ULTIMO TANGO A PARIGI. Non ci salverà la medicalizzazione continua del nostro corpo, se l’anima è marcia; e se non teniamo conto, come il protagonista trascura il dettaglio della sua prostata asimmetrica (e lascerà asimmetrico anche il taglio dei capelli), che l’imprevedibilità e l’irregolarità sono le uniche padrone di una realtà irrimediabilmente asimmetrica.
Fabio Canessa
COGLI L’ATTIMO
da Ultimo Tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci con Marlon Brando e Maria Schneider