Una deliziosa fiaba di Michel Tournier racconta di un califfo che, dopo vent’anni di matrimonio, si disamora della moglie, la cui bellezza si è spenta con gli anni. A un odierno cittadino degli Emirati Arabi sono bastati venti giorni: appena usciti da una nuotata in mare, vedendo la moglie ventottenne per la prima volta senza trucco, lavato via dalle onde, e scoperto che le ciglia di lei erano finte, ha fatto una scenata sulla spiaggia, si è incazzato di brutto ritenendosi ingannato e, dopo sei mesi di fidanzamento e venti giorni di matrimonio, ha chiesto subito il divorzio. Proprio come Ruggero nell’Orlando Furioso, quando si accorge, grazie all’anello fatato di Angelica, che la giovane e seducente Alcina non è altro che una vecchia di repellente bruttezza, che l’ha infinocchiato con le sue arti magiche. L’esipodio (come diceva Totò) è stato rivelato dal dottor Abdul Aziz Asaf, psicologo che adesso ha in cura la traumatizzata ventottenne. Al califfo della novella accade però di ritrovare bellissima la moglie ogni volta che la vede riflessa nello specchio; quando poi si volta a osservarla dal vero, rieccola inguardabile. Così, mentre preferisce assentarsi da casa e tradirla con le damigelle di corte, si rivolge a un vecchio guru che gli spieghi il miracolo dello specchio. Il saggio gli rivela che tutto dipende dallo sguardo del marito: se la squadra frontalmente, la regina, sentendosi sotto giudizio, si intristisce e imbruttisce; nella cornice dello specchio, dove appare anche il re, l’aspetto di lei si vivacizza al fianco di lui, “con lo sguardo rivolto allo stesso paesaggio, allo stesso avvenire, proprio come su un ritratto di nozze”. Nell’epoca del femminicidio, del mito della giovinezza e del tempo dal ritmo veloce, anche il processo di disamore si è evidentemente accorciato. Allo sbrigativo marito consiglieremmo comunque la prova dello specchio, non si sa mai. Ma forse lui allo specchio di Tournier preferirebbe l’anello di Ariosto: “Oh quante sono incantatrici, oh quanti/ incantator tra noi, che non si sanno!/ che con lor arti uomini e donne amanti/ di sé, cangiando i visi lor, fatto hanno./ Non con spirti costretti tali incanti,/ né con osservazion di stelle fanno;/ ma con simulazion, menzogne e frodi/ legano i cor d’indissolubil nodi./ Chi l’annello d’Angelica, o più tosto/ chi avesse quel de la ragion, potria/ veder a tutti il viso, che nascosto/ da finzione e d’arte non saria./ Tal ci par bello e buono, che, deposto/ il liscio, brutto e rio forse parria./ Fu gran ventura quella di Ruggiero,/ ch’ebbe l’annel che gli scoperse il vero.”
Fabio Canessa
(preside del liceo olistico “Quijote”)
Proprio come Ruggero nell’Orlando Furioso, quando si accorge, grazie all’anello fatato di Angelica, che la giovane e seducente Alcina non è altro che una vecchia di repellente bruttezza, che l’ha infinocchiato con le sue arti magiche.
(da LO SPECCHIO O L’ANELLO editoriale di Fabio Canessa)
da Orlando furioso (1974) sceneggiato televisivo italiano, tratto dall’omonima opera di Ludovico Ariosto e diretto da Luca Ronconi