Un’onda che cammina sull’acqua non è un oggetto così come usualmente lo concepiamo, perché non è formata da materia che permane. Essa non trasporta con sé nulla, se non la propria storia, il fluire di eventi che l’hanno originata e che l’hanno accompagnata fino al suo definitivo smorzarsi nel conflitto con altre onde o al suo dolce o impetuoso esaurirsi a contatto con la spiaggia. Per questo aspetto siamo come le onde: anche noi, infatti, siamo un fluire di eventi, siamo processi che si incontrano e si scontrano con altri, che interagiscono con l’ambiente in cui vivono fino a che non si addormentano per sempre. La fine sembra presentarsi sotto forma di un’onda di luce fluorescente azzurra che si diffonde da una cellula all’altra, spegnendole tutte, e attraversa l’intero corpo fino a che tutta la vita è stata estinta. È “l’onda della morte”, scoperta e fotografata (si veda l’immagine) in un organismo semplice, come un minuscolo verme, da un gruppo di ricerca coordinato dall’University College di Londra. Dal momento che i meccanismi cellulari nei mammiferi sono simili a quelli dei vermi non è azzardato ipotizzare che anche nell’uomo la morte cellulare si presenti sotto forma di quest’onda azzurra. Ecco la differenza tra noi e le onde: queste ultime vivono finché si propagano; nel nostro caso invece pare che sia proprio un processo di propagazione a suggellare la fine della nostra esistenza. Per questo l’antica massima dell’Ecclesiaste: “Polvere sei e polvere ritornerai” (11,7-12,14) andrebbe così riformulata: “Onda sei, e onda ritornerai”.
Silvano Tagliagambe
(Iconologo di Aristan)
COGLI L’ATTIMO
Onda su onda (P. Conte 1974) nell’esecuzione di Bruno Lauzi