“Non serve più, ha fatto il suo tempo; deve andar via”. Me l’hanno detto tutti, da mia moglie al capo redattore. Il mio psichiatra me l’ha imposto: “Basta, è una insolita forma di dipendenza ma comunque dannosa per lei, capitano. La mandi via”. Tutti si riferiscono a Monica, la mia controfigura. Hanno insistito tanto che alla fine mi sono convinto anch’io e le ho fatto comunicare che è licenziata.
“Mi chiamano Mimì…” canta la Cavalieri dal mio grammofono quando Monica mi si presenta davanti, sull’acciottolato accanto alla porta di casa, avvolta in un consunto cappotto, curva, malvestita, calze e biancheria intima che debordano da un valigione in cartone fatto in fretta e chiuso male, in una giornata di violento scirocco che le scompiglia i capelli grigi e mi spinge contro il viso foglie secche e brandelli di giornale; la musica di Puccini a pieno volume:“Ho tante cose che ti voglio dire… o una sola, ma grande come il mare… come il mare profonda ed infinita…” E lei “…sei il mio amore e tutta la mia vita! – completa farfugliando – Addio, capitano”; sembra si debba voltare per andarsene, invece mi abbraccia e fra i singhiozzi riconosco qualche umido bacio. “Son bella ancora?… Bella come un’aurora…”, la Cavalieri e Caruso si struggono nell’ultimo atto della Boheme, mentre lo scirocco le strappa di dosso il cappotto consunto e la fa diventar bella ed elegante, splendida come Louise Brooks in Lulu.
Nella seduta di oggi l’ho raccontato allo psichiatra: “Insomma, un piccolo addio” ha commentato.
Pietro Serra
(Capitano medico, ambasciatore di Aristan)
COGLI L’ATTIMO
da Addio mia concubina (1993) diretto da Chen Kaige, tratto dall’omonimo romanzo di Lilian Lee, vincitore della Palma d’oro per il miglior film al 46º Festival di Cannes