Più che “arte del bene comune” la politica appare ormai come “arte dell’insulto”. A livello nazionale e internazionale. Soprattutto quando le parole, i lògoi-terreno di autentico confronto per Aristotele, appaiono non semi a nuove maturazioni, ma scorciatoie a mietiture immediate.
Nel mondo cosiddetto ecclesiastico, le cose sono più sofisticate: un insulto deve apparire virtù. Un tempo, ci si insultava a livello ufficiale a forza di reciproche scomuniche, per amore della verità. Oggi, le scomuniche esplicite non sono più di moda. Meglio parlare di “gesto devoto” verso la persona insultata, ma con venerazione. La tecnica più raffinata è però quella dell’insulto non detto: «Non ti rispondo, perché se ti rispondessi diventerei cattivo». Dalla politica dell’insulto alla pastorale del silenzio. Vendette di contro-creazione, di un non biblico “E Dio non disse” a partorire vento su abissi di nulla. Da Guinness dei primati o da premio Ig-Nobel. Pardon: da “santi subito”.
«Beati voi quando vi insulteranno…» (Mt 5,11).
E mi viene da pensare, Signore,
che per te un insulto vero
è sempre più salvifico
di un silenzio falso.
Antonio Pinna
Salmista ad Aristan
La tecnica più raffinata è però quella dell’insulto non detto: «Non ti rispondo, perché se ti rispondessi diventerei cattivo». Dalla politica dell’insulto alla pastorale del silenzio (da SALMO 105 … dell’insulto, o del silenzio – editoriale di Antonio Pinna)
Boccaccia mia statti zitta!