UN NEMICO GIURATO


Editoriale del 25 ottobre 2016

pope

L’accusa, mossami da molti, di essere un nemico giurato di Paolo Sorrentino è così falsa che non mi par vero di dichiarare il mio entusiasmo per “The young pope”. Basterebbero la splendida sequenza iniziale che, per illustrare come solo uno tra miliardi di persone sarà proclamato papa, mostra un neonato che gattona tra i corpi dei suoi simili e le due scioccanti omelie del papa (una sognata e una reale) per spazzare via i film italiani di quest’anno: c’è più cinema nei primi due episodi di questa serie tv che in tutte le pellicole nostrane proiettate sul grande schermo nel 2016. Di Sorrentino avevo apprezzato “L’uomo in più”, “Le conseguenze dell’amore” e “Il divo”, poi ero rimasto deluso da “This must be the place”, “La grande bellezza” mi era parso sopravvalutato e “Youth” mi aveva quasi schifato. Ora “The young pope” mi sembra, a giudicare dalle due prime puntate, una delle opere più convincenti di un regista dall’innegabile talento tecnico e dal merito insolito di pensare in grande ma spesso velleitario, che però, costretto dai meccanismi narrativi della serie tv ad ancorarsi a un soggetto strutturato e a un impianto articolato, dà il meglio di sé: il suo stile visionario trova così maggiore equilibrio e acquista spessore e mordente, fondendo thriller, commedia e fantateologia nella storia del giovane papa americano Pio XIII, una specie di antiBergoglio conservatore e autoritario, capriccioso e nevrotico, fumatore e misantropo. Servita da una solida sceneggiatura e orchestrata in modo corale, la serie sembra una via di mezzo tra “House of cards” e “Il papocchio” (con echi di Bellocchio e del morettiano “Habemus papam”), ma impreziosita da un talento visivo strepitoso, che si sprigiona dal corto circuito tra la ritualità ecclesiastica e i giochi di potere, la formalità cardinalizia e il delirio onirico. Come ne “Il divo”, tutto è felicemente arrangiato in chiave pop, senza messaggi a tesi, equidistante dalla farsa parodistica e dalla denuncia indignata: Sorrentino ci diverte e ci inquieta raccontando la fascinazione del potere, le contraddizioni del cuore umano e la miscela inscindibile di bene e di male che c’è in ognuno di noi. L’ambientazione in Vaticano e il contesto religioso gli consentono di trattare questi temi in modo estremo, sfruttando la logica paradossale della fede (dalla Trinità al Dio crocifisso, passando per la Vergine madre), in modo da garantire un impatto di forte suggestione e confezionare un’impaginazione da musical barocco postmoderno che costituisce uno dei risultati più sorprendenti della carriera di Sorrentino e della messinscena del suo immaginario. Se qua e là fellineggia, concedendosi i cliché consueti (un canguro nei giardini vaticani, una suora di Nepi, un sogno in piazza San Marco), stavolta va bene così. Il resto lo fanno gli attori, tutti eccellenti: da Jude Law, papa dal carisma ambiguo, allo straordinario cardinale faccendiere Silvio Orlando, dalla ritrovata Diane Keaton, inedita nel ruolo drammatico di una suora di carattere, a un Toni Bertorelli che caratterizza con nerbo un anziano cardinale asmatico. Non vediamo l’ora che arrivi venerdì per goderci il seguito

Fabio Canessa
(preside del liceo olistico “Quijote”)


Servita da una solida sceneggiatura e orchestrata in modo corale, la serie sembra una via di mezzo tra “House of cards” e “Il papocchio”
(da UN NEMICO GIURATO editoriale di Fabio Canessa)
da Il pap’occhio (1980) diretto da Renzo Arbore, con Roberto Benigni

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