La settimana scorsa è morta Jane Goodall. Per me era un mito. Esistono persone, infatti, che hanno cambiato il nostro modo di considerare gli animali, persone che ci hanno aiutato a guardare con rispetto la natura che ci circonda. Lei era una di quelle persone.
Vent’anni fa ebbi l’onore di intervistarla in uno dei suoi viaggi a Roma.
Al mio arrivo all’albergo, dove risiedeva e dove avevamo concordato di incontrarci, il portiere mi disse che la signora Goodall era in giardino. Mi incammino. Ad un certo punto la vedo, con i lunghi capelli grigi legati in una morbida coda, l’esile corpo avvolto da una camicia rossa ed i gesti lenti e rassicuranti. Non nascosi il mio stato d’animo e, forse poco professionalmente, misi le carte in tavola e le confessai tutta la mia emozione. Sorrise consapevole del suo fascino intellettuale e della forza e unicità della sua vita. Avevo davanti una donna che aveva dedicato la sua esistenza all’osservazione di una specie all’epoca poco conosciuta, ma non solo. Aveva sdoganato il fatto che anche altri animali, oltre a noi, possedevano un pensiero ragionato, la consapevolezza di sé, e tutta una serie di emozioni, variegate come i colori di un arcobaleno.
Seguì un momento magico in cui ascoltai tutti gli aneddoti della sua vita che conoscevo già a memoria. Ma sentirli dalla sua voce era incredibile.
I suoi inizi, il padre che le regala a due anni, un peluche di scimpanzé che le è rimasto accanto tutta la sua vita. I primi incontri con gli scimpanzé, la sua perseveranza, la rivoluzionaria scoperta che gli scimpanzè utilizzano degli strumenti (fino a quel momento si credeva che solo noi umani fossimo capace di un simile comportamento). Ma anche la scoperta inquietante che gli scimpanzé sanno essere molto violenti, fino a scatenare vere e proprie guerre. All’epoca del nostro incontro, le indagini genetiche avevano evidenziato la spaventosa vicinanza tra noi e loro. Su queste basi era stata avanzata l’ipotesi di cambiare il loro genere e inserirlo nel nostro, cambiando il loro nome da Pan troglodytes a Homo troglodytes. “Sinceramente non penso sia una buona idea” mi disse con uno sguardo limpido e diretto “Intanto per quanto possiamo considerare gli scimpanzé come nostri simili, dobbiamo riconoscere che sono diversi e inserirli nel nostro genere temo che potrebbe esser loro più di danno che di aiuto. La paura di una tale similitudine, invece di avvicinarci ci allontanerebbe da loro. E poi sinceramente non credo che il fatto di considerarli come noi li aiuterebbe molto, basta guardare come ci trattiamo l’un l’altro. Guardi quante guerre, quanta violenza! Gli scimpanzé non ci guadagnerebbero di certo ad essere come noi.”
Questo mondo ti deve molto, piccola grande donna, e mancherai ora più che mai.
Monica Mazzotto (Biofila di Aristan)