C’ERA UNA VOLTA LA RUSSIA SOVIETICA


Editoriale del 31 ottobre 2025

Nel 1978, durante gli anni dell’Unione Sovietica e della guerra fredda, partecipai a un convegno italo-sovietico di neurofarmacologia a Mosca. All’aeroporto di Mosca-Šeremét’evo, il funzionario che controllava il mio passaporto esclamò con voce amichevole:  

— Sei di Cagliari, Sardegna? —  

Pensando di compiacerlo, recitai con l’orgoglio di un compagno sardo comunista:  

— Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Enrico Berlinguer! —  

Sembrò non aver capito. Dopo un breve silenzio, esplose felice:  

— Gigi Riva! —  

Io pensai, un po’ deluso, che non ci sono più i comunisti di una volta.

Iosif Vissarionovič Stalin era morto da un pezzo, e Nikita Sergeevič Chruščëv ne aveva rivelato pubblicamente le colpe. Ma Stalin rimaneva nell’immaginario dei lavoratori nello scongiuro minaccioso:  

— Ha da venì Baffone. —  

Avevo visto la sua faccia rassicurante su un manifesto affisso su un muro di via Arbat, simbolo della città di Mosca. Quel manifesto aveva resistito alle intemperie climatiche e politiche. Riportava la scritta in cirillico “Otche Nash”:  

— Padre Nostro. —

All’epoca, segretario del Partito Comunista era Leonid Brežnev, quello del celebre bacio sul Muro di Berlino con il leader della Germania Est, Erich Honecker.

I promotori del convegno sono rappresentati in una fotografia, disposti in ordine anagrafico e, curiosamente, deceduti nello stesso ordine — tranne l’ultimo a sinistra.  

Il primo a destra è Sergei V. Anichkov, classe 1892, patriarca della farmacologia sovietica. Fu allievo di Ivan Pavlov e insignito del Premio Lenin, la più alta onorificenza sovietica. Mi confidò di essere stato confinato in Siberia per cinque anni, sospettato di tramare contro la vita di Stalin. Commentai con lui che il freddo della Siberia allunga la vita. Tra me e me pensai che, forse, non era poi stato un bravo tossicologo.

Vladimir Vasilievich Zakusov, classe 1903, fondatore della farmacologia sovietica moderna e successore di Anichkov alla direzione dell’Istituto Medico di Mosca, fu anch’egli insignito dell’Ordine di Lenin. Era il vero zar della farmacologia sovietica.

Il terzo era Mark Valentinovich Valdman, classe 1929. Su di lui circolavano alcune malignità: troppo giovane e ambizioso, forse ebreo, forse gay. Non ho trovato evidenze affidabili che confermino l’internamento siberiano di Anichkov, né l’origine ebraica di Valdman. Avevo però notato che Valdman aveva baciato quattro volte sulle guance, anziché tre come da usanza russa, Umberto Scapagnini — il più bello dei farmacologi italiani.

Il quarto a sinistra è Vincenzo Longo (1929), direttore capo del laboratorio di farmacologia dell’Istituto Superiore di Sanità.

Il suo stereotaxic Atlas of the Cat’s Brain (1963) è utilizzato per localizzare con precisione le strutture cerebrali feline negli esperimenti neuroscientifici.

Il convegno sulla farmacologia dell’alcolismo fu un successo, festeggiato con un brindisi per ogni neurotrasmettitore — che allora erano più di dieci. Il rito, apparentemente in contrasto con le conclusioni del congresso, era perdonato: la vodka Stolichnaya, come è noto, non può che fare bene.

Al rientro, all’aeroporto, si ripeté la stessa scena dell’arrivo a Mosca. Un giovane funzionario commentò il mio passaporto esclamando con simpatia:  

— Sei di Cagliari, Sardegna? —  

Memore della prima esperienza, risposi:  

— Gigi Riva! —  

Mi guardò incredulo e disse, pronunziando lentamente:  

— Iosif… Iosif… Brotzu, Iosef Brotzu! —  

Mi spiegò che era studente in medicina all’Accademia Medica Militare Sovietica.  

Commentai tra me:  

— Non ci sono più quei doganieri di una volta! —

Gianluigi Gessa (Neuroscienziato di Aristan)

“Nel 1978, durante gli anni dell’Unione Sovietica e della guerra fredda, partecipai a un convegno italo-sovietico di neurofarmacologia a Mosca.” Da C’ERA UNA VOLTA LA RUSSIA SOVIETICA – Editoriale di Gianluigi Gessa (Neuroscienziato di Aristan)

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