Non essere troppo giusto
e non mostrarti saggio oltre misura:
perché vuoi rovinarti?
Non essere troppo malvagio
e non essere stolto.
Perché vuoi morire prima del tempo? (Qohelet 6,16-17)
Ci si può meravigliare che questo stia scritto nella bibbia degli ebrei e dei cristiani, anche se forse la maggior parte degli ebrei e dei cristiani non l’ha mai letto. E nemmeno sentito, dal momento che la traduzione dei vescovi italiani, quella ufficiale fino al 2008, per imbonire la cosa, traduceva «Non essere troppo scrupoloso…», a beneficio dei predicatori buonisti.
Se ne scrivo questo sabato non è per aggiungermi a chi è convinto di sapere cosa la bibbia vuol dire di santo. I santi, del resto, a conoscerne la storia, non mi sembra siano stati i fanatici delle banali vie di mezzo. L’antico adagio latino «In medio stat virtus» merita in fondo davvero il titolo di “adagio” che stenta a raggiungere qualsiasi traguardo, tanto più quello della saggezza. La domanda, quindi, è che cosa si intenda per “misura”, se non è la tanto santificata “via di mezzo”.
Per cominciare a rispondere, e forse non finire di cercare, conviene ricordare che prima di quelle due frasi contrarie l’autore di quel testo (che ha un nome femminile “Qohelet”) dice «Nei miei giorni vani ho visto di tutto: un giusto che va in rovina nonostante la sua giustizia, un malvagio che vive a lungo nonostante la sua iniquità», e dopo quelle due frasi conclude «È bene che tu prenda una cosa senza lasciare l’altra: in verità chi teme Dio riesce bene in tutto».
“Prendere una cosa senza lasciare l’altra”, letteralmente in ebraico è «Buono che tu prenda in questo e perfino anche da quello», dove “questo” e “quello” sono riferiti ovviamente ai due contrari appena detti, anche se le traduzioni lo fanno dimenticare. Il traguardo “divino” per l’uomo sembra quindi che per «riuscire bene in tutto» conviene sapere che un altro pezzo di verità ce l’ha chi pensa il contrario. Che “l’ascoltare” il contrario sia la “via maestra” soprattutto quando si è troppo convinti di aver ragione?
A questo punto, do un senso al fatto che ad Oristano, città dove abito, si sia dato il nome di “Via Dritta” a una via che in realtà è storta. Ma quel “dritta” in sardo era “Sa ruga deretta”, dove “deretta” significava non l’italiano “dritta”, in senso lineare, ma la via che ti portava “direttamente” dalla “Porta grande (sa Porta Manna”) al “centro” che contava, verso il Palazzo giudicale e la Cattedrale.
Che nella vita, e nella storia, le vie storte, e talvolta tortuose, siano più “dirette” delle vie “dritte”?
Antonio Pinna (Salmista ad Aristan)
“A questo punto, do un senso al fatto che ad Oristano, città dove abito, si sia dato il nome di “Via Dritta” a una via che in realtà è storta. Ma quel “dritta” in sardo era “Sa ruga deretta”, dove “deretta” significava non l’italiano “dritta”, in senso lineare, ma la via che ti portava “direttamente” dalla “Porta grande (sa Porta Manna”) al “centro” che contava, verso il Palazzo giudicale e la Cattedrale.” Da Salmo 525 VIA DRITTA – Editoriale di Antonio Pinna (Salmista ad Aristan)



