L'ANGELO DI STANLIO


Editoriale del 1 luglio 2019

Ero sempre stato un angelo diligente, preciso, forse un po’ fiscale. Sapevo di non essere molto popolare tra i miei colleghi e ne soffrivo. Quando andavamo in pausa durante i meeting di aggiornamento celeste mi sentivo sempre un po’ isolato. Tutti cortesi, certo. Ma il succo d’idromele lo bevevo sempre da solo. Dopo quasi 75 anni di vita con Stan però tutto è cambiato, non che io sia diventato un simpaticone da gita aziendale, ma adesso mi rendo conto che i colleghi conversano volentieri con me; due o tre volte mi è capitato addirittura di farli ridere.
Per molto tempo ho pensato di aver avuto fortuna a dover proteggere Stan, poi ho capito che la fortuna non c’entrava. Era successo che Grolimoth, l’arcangelo designatore, sapendomi in difficoltà, aveva finto di assegnarmi un umano da custodire consegnandomi, in realtà, un angelo: lui. Stan. Io ovviamente non lo sapevo ma Stan è un angelo quotatissimo in Paradiso; lui e il suo collega Oliver, detto Babe, sono importanti filosofi celesti in predicato di diventare arcangeli. Il loro passaggio sulla Terra è stato un dono preziosissimo anche per tutta l’umanità. Uno zefiro di bellezza che ha soffiato leggero su questo piccolo pianeta. E credo – concedetemi la millanteria – che il merito sia anche mio. Se Grolimoth infatti non avesse deciso di aiutarmi, Stan – e dunque anche Oliver – difficilmente si sarebbero incarnati. So cosa stanno pensando adesso gli scettici che conoscono un po’ la biografia di Stan: “Seee un angelo! Ma come si conciliano con un angelo tutti i suoi pasticci matrimoniali? Tutte quelle mogli, anche in contemporanea? Come la mettiamo con tutte quelle situazioni peccaminose e imbarazzanti? Come la mettiamo, eh?”. Facile. La mettiamo che l’imperfezione fa parte della divinità. E la chiudiamo qua.
Il grande Buster Keaton, che sospetto sia anche lui un angelo, al funerale di Stan disse: “Chaplin non era il più divertente, io non ero il più divertente, Stan Laurel era il più divertente”. La parola “divertente” era la più appropriata, viene dal latino divertĕre che vuol dire “volgere altrove, prendere un’altra direzione”, esattamente il nocciolo della filosofia di Stan che, come nessuno, sapeva ribaltare qualsiasi situazioni con una risata.
Che fosse un angelo l’ho capito solo alla fine. Stan era ricoverato in clinica, a un tratto si rivolse alla infermiera che lo accudiva e sussurrò: “In questo momento mi piacerebbe essere in montagna a sciare”. “Le piace sciare, signor Laurel?” chiese l’infermiera. “No, lo detesto, ma è sempre meglio che stare qui”. Lui era così. Si comportava nella vita come sulla scena. Questo dialogo è stato riportato fedelmente dalla stampa di tutto il mondo. Posso dirlo perché io ero lì, in piedi, alla sua sinistra. Quello che invece nessuno sa è che dopo questa battuta, mi cercò con lo sguardo, non lo aveva mai fatto, e mi fece l’occhiolino. Di colpo tutto mi fu chiaro. Era sconcertante e meraviglioso, provai un senso di vertigine. Appena mi ripresi Stan era morto. A quel punto però non mi stupii quando abbandonò il suo cadavere, mi venne vicino e mi chiese se avessi voglia di fare una volatina con lui, tanto per sgranchire le ali.

Filippo Martinez (Angelo custode di Stan Laurel)

“Stan è un angelo quotatissimo in Paradiso; lui e il suo collega Oliver, detto Babe, sono importanti filosofi celesti in predicato di diventare arcangeli”. Da L’ANGELO DI STANLIO – Editoriale di Filippo Martinez (Angelo custode di Stan Laurel)

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