QUANTO MI SONO DIVERTITO: HO PIANTO TANTO!


Editoriale del 15 settembre 2020

Aperta da un brutto film italiano, “Lacci” di Luchetti, e chiusa da un altro film italiano altrettanto brutto, “Lasciami andare” di Mordini, la Mostra di Venezia si è invece fatta onore, in mezzo ai due orrorini. Prima di tutto per l’organizzazione perfetta, confermando il luogo comune che l’Italia dà il meglio di sé nell’emergenza. Nelle scorse edizioni non si contavano gli intoppi, i ritardi, le lunghe file; quest’anno, con il Covid, gli imprevisti sono stati previsti e quindi non ci sono stati: prenotazioni online, misurazione della temperatura, distanziamento, mascherine, tutto ha funzionato al meglio, senza assembramenti, code o incidenti. La qualità dei film in concorso è stata appena inferiore rispetto alle edizioni precedenti, perché più indirizzata agli addetti ai lavori, al cinema d’autore d’élite, al cinefilo duro e puro da cineclub. Per esempio, abbiamo visto in concorso “Tra una morte e l’altra”, un astruso apologo venuto dall’Azerbaijan pieno di simbolismi metafisici dalla trama pretenziosamente sconclusionata, dove un tale gira alla ricerca della moglie e del figlio che non ha mai visti perché non li ha mai avuti, scappa da tre balordi che vogliono vendicare un tizio che lui ha ucciso, incontra varie donne maltrattate dai maschi, porta la morte ovunque vada e via delirando. Però il verdetto della giuria ha premiato tutti buoni film, i migliori tra quelli in concorso: il Leone d’Oro a “Nomadland” è forse esagerato ma non scandaloso, il Leone d’Argento allo scialbo giapponese “Moglie di una spia” non si può condividere, però tutti gli altri premi sono sacrosanti. “Cari compagni” di Andrei Konchalovsky, che racconta una strage di stato nella Russia del 1962, a causa della quale una funzionaria comunista, staliniana convinta, scopre che il regime sovietico non è il paradiso ma un inferno, girato in uno splendido bianco e nero e interpretato magnificamente, è un film di cui non cambieremmo un dialogo o un’inquadratura. Il messicano “Nuovo ordine” di Michel Franco, storia di una rivolta di poveri che si intreccia a un colpo di stato militare, ha un impatto così violento e trascinante da trasformare un monito politico (rivolto ai ricchi per metterli in guardia da quello che potrebbe esplodere tra non molto) in un thriller incalzante, un horror sociale. L’indiano “Il discepolo”, premiato per la miglior sceneggiatura, è una chicca imperdibile per tutti gli appassionati di musica: peggio per noi se la musica è il raga classico, salmodiato in cantilene per le quali le orecchie occidentali sono poco attrezzate. Ma il contrasto tra la passione (tanta) e il talento (scarso), la mitizzazione di antichi maestri idolatrati forse ingiustamente, la frustrazione per mancanza di successo da cui nasce l’orgoglio di sentirsi superiori e rifiutare il mercato commerciale sono temi familiarissimi anche a chi razzola nel jazz, nel rock o nel pop. Infine vi raccomandiamo il miglior film visto a Venezia, non del concorso ma nella sezione Orizzonti (chissà perché?): “Nowhere special” di Uberto Pasolini, un regista che, anche geneticamente, ha il cinema nel DNA, infatti da parte paterna è cugino di Pier Paolo Pasolini e da parte materna è nipote di Luchino Visconti. Per darvi un’idea della forza del film, anziché la trama basti dirvi che mi sono commosso, evento per me rarissimo al cinema. Purtroppo da un po’ di tempo mi capita poco anche di ridere, ma non riesco proprio a ricordare quale sia stata l’ultima volta che avevo pianto in sala. E come era vera la frase delle vecchie zie: quanto mi sono divertita, ho pianto tanto!
Dal nostro inviato a Venezia Fabio Canessa

“Purtroppo da un po’ di tempo mi capita poco anche di ridere, ma non riesco proprio a ricordare quale sia stata l’ultima volta che avevo pianto in sala”
Da QUANTO MI SONO DIVERTITO: HO PIANTO TANTO! – Dal nostro inviato a Venezia Fabio Canessa

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