SULLA FEDE


Editoriale del 06 settembre 2016

moto luna

In un teatro romano Giorgio Pressburger vede una riduzione scenica dei “Fratelli Karamazov”. All’uscita, lo seguiamo in una lunga passeggiata per le strade della capitale, mentre, diretto a un appartamento di via Cavour prestatogli da un amico, riflette fra sé sulla natura del vero protagonista della rappresentazione a cui ha appena assistito: Dio. “Un essere unico, invisibile, inconoscibile, infinito, onnipotente, nella cui esistenza credono oltre tre miliardi di uomini tra i sei miliardi che oggi vivono sulla Terra.” E, di conseguenza, sulla natura della fede: una “fiducia illimitata in qualcosa di inconoscibile, in questo nulla, la cui stessa esistenza non è provata, fiducia nella sua bontà, nella sua implacabile crudeltà, nella sua onnipotenza, nelle regole di vita da lui dettate.” La sobrietà delle due semplici definizioni indica già i pregi e i limiti di questo anomalo saggio, pensato come invito per il lettore “a una breve discussione sulla fede”. Non maturata da ardui studi teologici, ma nutrita dalle esperienze di vita e dalle buone letture. Dunque non ci si aspettino slanci mistici né laiche stroncature dell’”oppio dei popoli”. Pressburger non ha risposte da propagandare, ma domande da condividere. Se lo seguiamo volentieri nei suoi ragionamenti è anche perché fin dalle prime righe ci promette la massima sincerità. Non la sincerità assoluta, della quale dubita, anche per il filtro impuro del linguaggio, ma quella possibile “quanto il fatto di parlare e scrivere ci permette”. Inizia infatti col confessare che fra i motivi per i quali ha deciso di scrivere questo libro, ci sono l’orgoglio di essere letto da tanta gente e l’avidità che gli fa sperare di guadagnarci qualche soldo. Se leggiamo d’un fiato le cento paginette è perché il narratore prevarica felicemente il saggista e, a chiusura di libro, rimane impressa l’intensità di alcuni episodi che sembrano provenire dai racconti di Pressburger. L’immagine dell’insetto impazzito nel vano della doccia, terrorizzato dalla presenza dell’uomo e dal vortice del buco, il ricordo del ripostiglio dell’infanzia abitato dagli spiriti, il racconto del calvario della depressione della madre e quello, di disperata lucidità, della morte del fratello gemello costituiscono una sorta di piccola autobiografia pudicamente celata all’interno di una confezione saggistica, ma che risulta preziosa per illuminare l’opera letteraria dell’autore. Che, mentre parla della fede, passa in rassegna anche gli scrittori che, in vario modo, l’hanno raccontata. Alla sfacciata impudicizia dell’incrollabile fervore religioso di Fedor Dostoevskij, è contrapposto il tragico dialogo con il mistero di Franz Kafka. Del primo lo irrita la profondità di un’adesione così naturale a Cristo. Tanta candida accettazione non può che apparire disonesta a Pressburger, che dichiara di avere “orrore della natura”. I poeti e gli ecologisti, che si compiacciono della sua superficiale bellezza e ne celebrano l’incantevole divina armonia, trascurano ipocritamente “l’orrendo massacro che c’è sotto”, “l’orrore del fagocitamento generale”. Al contrario di chi la ritiene un conforto, la fede è invece per Pressburger, come per Kafka, dubbio e tormento. Secondo Heidegger, caratteristica dell’uomo è la preoccupazione. Da essa dunque nascerà la fede. Anzi dalla paura, dal terrore. E non per offrire consolazione, ma sofferenza. La fede è compagna della disperazione, come dimostra la beata Angela da Foligno. Scaturita non dall’intelletto, ma “dalla puzzolente infame forsennata bestia che è in noi”, come racconta un grottesco romanzo di Tommaso Landolfi. Le eleganti elucubrazioni di Sant’Agostino o di Pascal vengono liquidate come “divertimento da aristocratici”. Perché la vera religiosità “è sempre annidata fra i vermi e i germi”. Mentre la felicità, sulla scorta del pensiero di Mircea Eliade, è un’”illuminazione” che dura un attimo e alla cui dolorosa perdita bisogna rimanere fedeli tutta la vita. Non per la speranza vana che torni, ma per fortificarla credendo in lei. Abbattuto il mito della solidarietà, che sarà una gran bella cosa ma con la fede non c’entra niente, Pressburger individua nella solitudine, nell’essere completamente soli di fronte a Dio, il fondamento della fede. Alla quale siamo condannati se vogliamo vivere. E neanche la religione può farci compagnia. Stasera a Venezia sarà proiettato il film di Mauro Caputo tratto da questo insolito e intenso libro “Sulla fede”, scritto da Giorgio Pressburger per Einaudi. Tra le opere italiane, l’unica che ci faccia davvero voglia di vedere.

Fabio Canessa
(preside del liceo olistico “Quijote”)

Stasera a Venezia sarà proiettato il film di Mauro Caputo tratto da questo insolito e intenso libro “Sulla fede”, scritto da Giorgio Pressburger per Einaudi. Tra le opere italiane, l’unica che ci faccia davvero voglia di vedere
(da SULLA FEDE editoriale di Fabio Canessa)
Pressburger d’annata – da Assassinio nella cattedrale (1966) diretto da Orazio Costa, con Ugo Pagliai e Giorgio Pressburger

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