TEMPO DI VACANZE


Editoriale del 13 agosto 2013

C’è sempre più gente che preferisce trascorrere le vacanze estive non al mare non in montagna né nelle città d’arte, ma a fare trekking in campagna. Per loro vale il motto di Henry David Thoreau (1817-1862): “Quanto è vicino al bene ciò che è selvaggio”. Cantore esaltato dello spirito americano delle radici e delle meraviglie della natura, come Walt Whitman o il suo maestro Ralph Waldo Emerson, Thoreau si è ritagliato il ruolo dell’avvocato difensore dello“stato selvaggio”, contrapposto alle mollezze della civilizzazione. Anch’egli, a suo modo, nicciano (“il nostro cervello funziona sempre al di sotto delle sue possibilità”),predica l’arte del camminare nei boschi, da lui quotidianamente praticata per lunghe ore, come l’unico strumento di conoscenza della realtà e la sola possibile costruzione di un’identità che non mortifichi le naturali potenzialità animali che l’uomo possiede. Un “camminare”, come suona il titolo della sua opera chiave, che niente ha a che vedere “con l’esercizio fisico”, ma che costituisce “l’avventura della giornata”. Allergico al chiuso della biblioteca, Thoreau ci invita a vivere all’aperto,“nel sole e nel vento”. Insofferente della domestica leziosaggine dei viali e dei giardini, ci spinge “verso i campi e i boschi”,lasciandoci guidare magneticamente dai suggerimenti dell’istinto. Convinto che un qualsiasi tagliaboschi sia un Adamo nel Paradiso terrestre, attribuisce al camminare il potere di arricchire l’immaginazione, schiarire i pensieri, purificare l’anima, irrobustire l’intelligenza e la capacità di capire. E il suo messaggio ecologista, tra il Petrarca “solo e pensoso” e il Celentano della via Gluck, si staglia sullo sfondo patriottico dei giganteschi panorami del Massachusetts, dove si vive nel presente e il pensiero è rivolto al futuro, non al nobile, ma superato, passato europeo. Unica salvezza per un’umanità infiacchita, la natura selvaggia profuma di muschio come le giacche dei cacciatori, dal“sentore di pianure erbose e di prati in fiore”, non di “botteghe e libri polverosi” come gli abiti dei mercanti e degli intellettuali. Poiché “quel che è più vivo è più selvaggio, e quel che non è ancora soggetto all’uomo lo rinvigorisce”, per Thoreau “la speranza e il futuro non sono nei campi coltivati, nei villaggi e nelle città, ma nelle paludi mobili e impervie”, nella“foresta più buia”, e le armi “non sono la spada e la lancia, ma l’accetta, la falce, la vanga e la zappa”. Anche “in letteratura ci attrae solo ciò che è selvaggio” (Omero, Dante, Shakespeare, la Bibbia e tutta la mitologia): che noia la poesia inglese addomesticata, che belli l’ignoranza e il canto del gallo! E che meraviglia se la nostra vita “fosse una tragedia divina anziché questa farsa, questa volgare commedia”.

Fabio Canessa
preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan

COGLI L’ATTIMO

 

da Il selvaggio (The Wild One 1953) diretto da László Benedek con Marlon Brando

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