Mi sento poco adatto alla vita sulla Terra, figuriamoci su Marte. Ma poi perché dovrei traslocare su Marte? Ieri ho divorato un chilo di albicocche, lì non le troverei di sicuro. Non ci cresce niente su Marte, non c ‘è acqua, ci cono solo sassi e polvere, freddo e radiazioni cosmiche.
Eppure, un manipolo di volenterosi si appresta a partire, non vede l’ora di partire. A guardarli in faccia e a sentirli parlare c’è solo da augurarsi che su quel pianeta si trovino bene, tanto da restarci intendo dire. Io non ci andrei nemmeno tra centomila anni. E tuttavia mi tengo informato sui progressi che fanno genetisti, designer o fancazzisti nel tentativo di descrivere l’uomo del futuro. Provo a immaginarmi guardandomi allo specchio: tutta un’altra persona. Occhi enormi e vitrei come quelli di un calabrone, per vivere in oscure parti dell’universo lontane dal Sole; fronte ampia e testa molto grossa, per far posto a un cervello sicuramente più ingombrante di quello che possiedo; pelle pigmentata, per proteggermi nel cosmo dalle radiazioni ultraviolette; palpebre più spesse e arcate sopracciliari più accentuate, per evitare disorientamenti visivi. Al netto di protesi, lenti a contatto e microchip impiantati un po’ ovunque. Dovrei fare a meno delle albicocche, meglio morire adesso.
Marco Schintu (Ufficio pesi e misure di Aristan)
“Occhi enormi e vitrei come quelli di un calabrone per vivere in oscure parti dell’universo lontane dal Sole, fronte ampia e testa molto grossa.” Da COSA MI MANCA PER ANDARE SU MARTE – Editoriale di Marco Schintu (Ufficio pesi e misure di Aristan)



