CECITÀ


Editoriale del 25 marzo 2020

 

La mancanza d’immaginazione è una forma di cecità, in quanto è la conseguenza di un modo unilaterale e rigido di vedere, che ci impedisce di pensare e mettere in pratica alternative più efficaci e favorevoli. A spiegarci in modo semplice perché è l’esempio della vecchia trappola indiana per le scimmie, di cui parla Pirsig nel suo primo, straordinario romanzo Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta: “La trappola consiste in una noce di cocco svuotata e legata a uno steccato con una catena. La noce di cocco contiene del riso che si può prendere attraverso un buco. L’apertura è grande quanto basta perché entri la mano della scimmia, ma è troppo piccola perché ne esca il suo pugno pieno di riso. La scimmia infila la mano e si ritrova intrappolata – esclusivamente a causa della rigidità dei suoi valori. Non riesce a cambiare il valore del riso: non riesce a vedere che la libertà senza riso vale più della cattura con”.

Nella difficile situazione che stiamo vivendo in questi giorni a fungere da “riso” è una visione distorta della libertà, che induce molti (ne fa fede il numero impressionante di denunce) a ritenere che un’incursione senza motivo fuori casa valga più della salute propria e di quella degli altri. Lo aveva già intuito e scritto José Saramago, premio Nobel per la Letteratura nel 1998, che nel 1995 scrisse il romanzo Ensaiosobre a Cegueira, tradotto in italiano col titolo Cecità perché l’editore riteneva che il titolo completo Saggio sulla cecità avrebbe scoraggiato i lettori, in cui descrive gli effetti di un’epidemia non respiratoria, ma di cecità appunto. Sembra di leggere un resoconto di ciò che avviene in Italia in questi giorni. Per paura di future contaminazioni, il governo organizza una quarantena in un manicomio abbandonato: una volta che il numero di individui in quarantena si accumula in questo luogo chiuso, l’ordine sociale si sbriciola e la moralità e il senso di responsabilità rischiano di venir meno. Il virus più letale, vuol dirci Saramago, è quello che ci riconduce a uno stadio primitivo, al male inteso come dimora della nostra cecità, quella che non è collegata agli occhi. “Con l’andare del tempo abbiamo finito col ficcare la coscienza nel colore del sangue e nel sale delle lacrime, e, come se non bastasse, degli occhi abbiamo fatto una sorta di specchi rivolti all’interno, con il risultato che, spesso, ci mostrano senza riserva ciò che stavamo cercando di negare con la bocca”.

 

Silvano Tagliagambe (Iconologo di Aristan)

 

Sembra di leggere un resoconto di ciò che avviene in Italia in questi giorni. Per paura di future contaminazioni, il governo organizza una quarantena in un manicomio abbandonato: una volta che il numero di individui in quarantena si accumula in questo luogo chiuso, l’ordine sociale si sbriciola e la moralità e il senso di responsabilità rischiano di venir meno.(da CECITÀ – Editoriale di Silvano Tagliagambe)

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