I senegalesi di Firenze, che non hanno neanche gli occhi per piangere, fanno una colletta per pagare le fioriere sfasciate da altri senegalesi meno gentili. L’Islam senegalese è molto particolare. Si basa sulle confraternite, tariqat, che sono al tempo stesso associazioni di mutuo soccorso tra poveri, Chiese e scuole di onestà e santità. Ogni confraternita è retta da un vescovo o papa o santo, venerato come tale già in vita e ancor più da morto. Il santo si chiama marabut, da cui il cognome Morabito che segna l’impronta islamica e nordafricana del nostro Sud. Ogni senegalese ai nostri semafori è affiliato a uno di questi santi e ne riceve coraggio e dignità, spesso mancanti a noi che ai semafori bestemmiamo per la fretta.
I marabut esistono da età preislamiche, sono i precursori dei santi cristiani e dei patroni locali: già ne parla Sant’Agostino. Proteggono ogni villaggio nordafricano, benedicono i suoi abitanti e gli ospiti. Morti, sono sepolti in tombe che spesso diventano mete di culto. L’Islam è pieno di queste tombe, santuari di santi islamici, speranza dei poveri e odiatissimi dai musulmani fanatici, i nefandi wahhabiti e i loro burattini, i terroristi dell’Isis e di Al Quaeda. Il 90% degli attentati terroristici islamici è condotto contro le sante tombe dei santi marabut, la cui umanità è odiata dai terroristi, nemici come sono dell’uomo e del suo Creatore. In tutta l’Africa occidentale, in Pakistan e in Iraq l’odio dei terroristi si scatena contro questi protettori dei senegalesi e di noi stessi. La pace e la benedizione di Dio sui marabut, protettori di chi ha bisogno di essere protetto, cioè di noi.
Gianluigi Sassu (Islamista di Aristan)
protettori di chi ha bisogno di essere protetto (da CHI PROTEGGE I PROTETTORI?, editoriale di Gianluigi Sassu)
Il protettore di Cocò – da Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973) diretto da Sergio Martino e interpretato da Pippo Franco e Edwige Fenech.