“Non mi sento tranquillo…ridete!”, urlava un pazzo doc che girava per le vie di Piombino quando frequentavo il liceo. Giovane, basso, tarchiato e sudatissimo, con un cappello nero sui capelli neri, una specie di John Belushi spiritato, ripeteva di continuo quella medesima frase, modulandola con varie inquietanti intonazioni che mescolavano sgomento, rabbia e implorazione. Con una teatralità febbrile che nessun attore consumato avrebbe saputo rendere con pari intensità e autenticità. “Non mi sento tranquillo…ridete!” e si vedeva bene che non si sentiva tranquillo per niente, in preda com’era a un’agitazione capace di contagiare chiunque gli si avvicinasse. Si rivolgeva un po’ a tutti, senza però guardare in volto nessuno. Quando tornai dall’università, il pazzo non c’era più, chissà se morto o rinchiuso da qualche parte. Ed è rimasto, per me, l’emblema epocale dell’inquietudine novecentesca, quanto i racconti di Kafka, l’urlo di Munch o il cinema di Bergman. Questa versione nevrotica dello scemo del villaggio mi sembrava la sintesi tragicomica del collasso della modernità, la mascotte circense della perdita di ogni certezza: la spremitura finale della crisi di un secolo. Oggi invece lo ripenso spesso come una figura profetica (simile a quel personaggio che appare nelle pagine iniziali del “Moby Dick” di Melville), che ha percepito per primo quell’angoscioso disorientamento che il tempo provvederà a complicare. Sarebbe il caso di celebrarlo con un flash mob di 30 secondi in tutte le piazze d’Italia, a cominciare da San Pietro e Montecitorio: “Non mi sento tranquillo…ridete!”.
Fabio Canessa
(preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan)
COGLI L’ATTIMO
da Scemo di guerra (1985), film di Dino Risi,interpretato da Beppe Grillo