Non che mi manchi nulla, per carità. Cago, piscio, spesso mi passano anche qualche succulento pesciolino. Me la spasso con le mosche senza accopparle e dio come me la godo a ciulare le bistecche da tavola appena quei babbei si distraggono. Rincorro le carte colorate delle caramelle per sgranchirmi le zampe ogni tanto, per assolvere al mio ruolo di gatto domestico. Le buffonate dovute, il ruolo. Per il resto me ne strainfischio. Guardo il calcio e le sit-com in tivù, sbircio l’universo dal balcone, identico e infinito. Osservo la pioggia venire e le nuvole passare. Sono obeso e glorioso come Maradona nell’ultimo film di Sorrentino. Purtroppo mi hanno manomesso le palle, e quando nel giardino di fronte vedo quei due che fottono come non ci fosse un domani penso che dovrebbero girarmi, anche se non mi girano. Il guercio è proprio uno tosto, sgroppate a parte non c’è giorno che non si ritrovi una lucertola o un sorcetto fra le zampe. Io son diventato un campione nel capire quando gli sguinzi tornano a casa. I passi per le scale. Ah, so anche aprire le porte. Che vi devo dire, sono diventato perfettamente umano: la paura della morte mi ha trasformato in una melassa di minuscoli, insignificanti piaceri. Non c’è bisogno della psicanalisi: rincorrere i gomitoli di lana significa inseguire l’intrico ripetitivo del tempo, convinti che la fettuccia ribelle sia un segno misterioso del futuro. Tutte stronzate. Maledetto Guercio. E maledetti voi.
Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)
COGLI L’ATTIMO
da La gatta sul tetto che scotta (1958) diretto da Richard Brooks con Elizabeth Taylor, Paul Newman