COSÌ È (SE VI PARE)


Editoriale del 22 marzo 2016

Dall’uovo di Pasqua dell’ONU esce la hit parade della felicità mondiale. Ed è davvero una sorpresa: l’Italia, nonostante la pizza e i mandolini, a scorno dei santi, dei poeti e dei navigatori, rimane solo la terra dei limoni (agri), perché è precipitata al cinquantesimo posto, dopo l’Uzbekistan, la Malesia e perfino il Nicaragua. Al primo posto del rapporto redatto dal Sustainable Development Solutions Network c’è la Danimarca (seguita, tra le altre, da Finlandia e Svezia), all’ultimo c’è il Burundi (e questa non è una sorpresa, anzi, sembra quasi una battuta). Conosco poco i danesi, ma certo se chiedi a un italiano se è felice, tutti (tranne forse io e Matteo Renzi, per motivi diversi) risponderanno di no. Farsi vedere felici ci sembra un handicap, una posizione da debitore, mentre preferiamo quella del creditore, brontolone e vittimista: se dici che stai male, hai la sensazione che il mondo si rimbocchi le maniche per farti stare meglio; se dici che stai bene, perdi anche la possibilità di ricevere coccole e conforto. E poi, a dare retta ai sondaggi, c’è da diventare scemi. Prendiamo per l’appunto quelli sull’intelligenza. Proprio in questi giorni ne sono usciti due contemporaneamente: quello della Review of General Psychology fa uscire dal suo uovo la sorpresa che chi beve alcool è in media più intelligente degli astemi, quello dello svedese Karolinska Insititutet sostiene al contrario che gli astemi hanno un quoziente intellettivo più alto dei beoni. Non solo: gli psicologi inglesi rivalutano i tiratardi, quelli della notte (come direbbe Arbore), capaci, secondo il loro rapporto, di sviluppare idee più originali e creative dei dormiglioni (merito di una corteccia più eccitabile), mentre gli studiosi svedesi (quelli che sarebbero più felici) attestano che gli intelligentoni sono quelli che vanno a letto con le galline perché è dimostrato che la carenza di sonno provoca un notevole calo delle capacità cognitive. Chi ci capisce è bravo. Quid est veritas? chiede in questi giorni Ponzio Pilato a Cristo. La vita è sorprendente e contraddittoria anche fuori dai sondaggi: David Bowie è appena morto a 69 anni, la medesima età che aveva Giovanni Spadolini quando ci ha lasciato; ma il primo sembra non esserci mai arrivato, il secondo ha dimostrato 69 anni per tutta la sua esistenza. E non ce la sentiamo di sostenere che Bowie ha osservato uno stile di vita più morigerato di Spadolini (e sarebbe arduo pure azzardare chi dei due sia stato più felice o intelligente). Infatti sono forti i dissensi anche nelle relazioni sulla ricetta di longevità: chi crede alla dieta sana, chi ammonisce a evitare lo stress, chi si affida agli stimoli ambientali. Tutti però vanno d’accordo su un punto: il nostro cervello non è stato creato per vivere fino a 80 anni e mentre le altre parti dell’organismo, pur non potendo migliorare con l’età, possono essere conservate più a lungo, “non è ancora stata trovata una medicina per rendere più longevo il cervello”. Quindi diventeremo magari sempre più vecchi, ma di certo più cretini e per questo, forse, anche più felici. A conferma del vecchio detto toscano: buon per te, che non capisci nulla.

Fabio Canessa
preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan

da La vita agra (1964) diretto da Carlo Lizzani, con Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli e in questa clip Enzo Jannacci

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