Passato ferragosto, il Papeete e i mojito, trascorse giornate intere di maratone Mentana e giornalisti accucciati come animali domestici sull’uscio di Mattarella, pareva quasi non ci fosse più tempo per la frivolezza. La crisi istituzionale, oltre il rosario, oltre le gaffe, oltre l’inglese dei ministri, oltre le cene segrete. E invece è bastato il vestito indossato per il giuramento della neoministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova per ringalluzzire il web. L’imbarazzante odio social di chi la trova inadeguata per le mancanze curriculari alla voce istruzione, attaccandola spesso e volentieri con uno stile che lascia intuire percorsi scolastici ben più accidentati di quelli della ministra e trascurandone invece esperienza e solidità di lavoratrice e bracciante, si è spento presto. Troppi i ministri non laureati nella storia recente della repubblica, quando in tempi di anti-intellettualismo a priori di necessità si è fatta virtù: uno vale uno e le pagelle cadono in prescrizione. Ma il vestito blu a balze no, quello non si può perdonare. Lei risponde: elettrico come me per l’occasione. Chapeau. Poi però continua a postare mise sul suo profilo Twitter (#mivestocomevoglio) e uno si chiede se sia proprio necessario sputtanarla così, quell’autorevolezza guadagnata sul campo. Il marketing politico però ci dice che non è questione di poco conto, il look dei leader. Se è ormai appurato che Boris Johnson si spettina di proposito davanti alle telecamere per apparire disinteressato al suo aspetto e scarmigliato quanto il popolo dopo una brutta giornata, ci sono studi che dimostrano che la barba in politica non funziona. Dei presidenti americani solo cinque la portavano, Lincoln il primo e l’ultimo Harrison, eletto nel 1841. Se fino alla prima metà dell’Ottocento la barba indicava forza e mascolinità, caratteristiche indispensabili per la leadership, a partire dalla fine del secolo si è trasformata in segno di trascuratezza e scarsa affidabilità. Gli esperimenti condotti all’università dell’Oklahoma dimostrano che il politico irsuto appare allo spettatore trasandato, reazionario e incline a sminuire le questioni di genere e quelle ambientali. La Bellanova forse questi studi sull’aspetto esteriore dei politici non li ha letti. Si è svegliata una mattina e ha indossato l’abito che più rappresentava il suo umore. E non era un costume da Jane Austin o un prendisole con pattern hawaiani. Intanto era vestita. In tempi di vice primi ministri che ballano l’inno nazionale in mutande da bagno non è un dettaglio trascurabile.
Eva Garau (Precaria di Aristan)
Poi però continua a postare mise sul suo profilo Twitter (#mivestocomevoglio) (da GIURA CHE NON TI VESTI DI BLU – Editoriale di Eva Garau)