Per la “Geometria delle passioni” (1991) e per gli studi rigorosi sull’idealismo classico tedesco e sull’età romantica verrà ricordato Remo Bodei, filosofo cagliaritano di nascita, pisano dai giorni da studente alla Normale e cittadino del mondo, che ha attraversato infaticabile, da Cambridge a Los Angeles, da New York a Heidelberg. Massimo esperto di Adorno, del quale ha curato le opere italiane, il professor Bodei è stato una di quelle figure del Novecento che ci ripagano di essere nati in questo secolo breve, accelerato e contraddittorio, in bilico, teso tra le forze di disciplina e desiderio alle quali ha dedicato pagine insuperate. Allievo di Ernst Bloch e Karl Lowith, si è formato (e soffermato, a lungo), sui testi di Hegel, Rosenkranz, Foucault tra gli altri. Di lui sono piene le note a piè di pagina delle carte dei filosofi contemporanei, che non possono evitare di farci i conti e, un giorno non lontano, lo saranno i manuali di storia della filosofia. La morte dei filosofi, va da se, non è una notizia da titoli del notiziario, soprattutto nel caso di filosofi che dell’understatement hanno fatto uno stile di vita, filosofi sbadati che il destino ci porta via a pochi giri di lancetta da altri personaggi più noti. E si sa, tra un filosofo e un cantante non c’è storia. Io del professor Bodei ricorderò sempre la giacca e la cravatta appese nel suo studio, che indossava prima di iniziare i suoi seminari con i dottorandi, nella piccola università di provincia che lo ospitava nei suoi passaggi per l’isola. L’importanza di accogliere intorno alla sua scrivania quelli che riteneva i suoi ospiti e verso i quali aveva tutte le premure, inclusa quella di vestirsi per l’occasione. E di ascoltarli, qualunque domanda avessero, e di chiedere la loro opinione, sempre. Ricorderò a vita la sua capacità di incantarmi, abbracciando i secoli in poche frasi brevi. Un uomo mai compiaciuto del proprio sapere. Ricorderò il giorno in cui mi aveva trovata al tavolo, nuova nel dipartimento, intenta a ragionare sul concetto di giustizia, come lo aveva immaginato Rawls e come lo raccontava Kymlicka il giovane. Come si decide cosa è giusto professore? Per principio, a priori, o sul letto di morte, solo dopo che si è vissuto? Lui mi aveva guardata sereno e grave allo stesso tempo e poi: “Quando sarà pronta a parlarne mi troverà in biblioteca”. Non ci sono mai andata a cercarlo chino sotto la lampada, in mezzo agli studenti. Mi sembrava un’offesa far sprecare del tempo a un uomo della sua statura. Oggi che non c’è più mi prenderei a schiaffi per quella timidezza passata e per quell’occasione che non tornerà. Mi restano i saluti di routine nei mesi a seguire, le domande che avrei voluto fare e non ho mai fatto, il pudore raro di un uomo che mi commuoveva. E che mi ha insegnato che solo i grandi rimangono curiosi e interessati al prossimo e sempre pronti a interrogarli e a interrogarsi, ancora.
Eva Garau (Precaria di Aristan)
Ricorderò a vita la sua capacità di incantarmi, abbracciando i secoli in poche frasi brevi. Un uomo mai compiaciuto del proprio sapere (da GRAZIE PROFESSORE – Editoriale di Eva Garau)