Essendo oggi tutti giustamente impegnati a celebrare la festa della Repubblica Italiana, da nessuna parte c’è spazio per rammentare neppure di sfuggita i 180 anni di Thomas Hardy, nato per l’appunto il 2 giugno 1840. Li festeggiamo noi, qui al Liceo Quijote, invitando docenti e studenti a leggere non uno dei suoi noti romanzoni (“Tess”, “Via dalla pazza folla”, “Giuda l’oscuro”), ma il racconto intitolato “Un semplice interludio” (edito da Sellerio), che è un piccolo capolavoro. La protagonista è una ventenne maestra di campagna, né bella né brutta né simpatica né antipatica. Soprattutto non sensibile né emotiva e pessima insegnante, mestiere che detesta. Per questo decide di acconsentire alla proposta dei genitori di sposare un cinquantenne benestante amico del padre. Ma, durante il viaggio verso casa, pochi giorni prima delle nozze, perde un traghetto e incontra un collega che, in modo deciso e risoluto, la convince a cambiare idea e a sposare lui, anziché quell’anziano signorotto. Fatti due conti e messe da parte le esitazioni (meglio il vecchio che la scuola, ma meglio il giovane del vecchio), la ragazza celebra il giorno stesso l’improvvisato matrimonio e decide di presentarsi all’indomani dai suoi con il marito, per mandare a monte le nozze previste in precedenza. Destino vuole però che il novello sposo, tuffatosi in mare per farsi una nuotata, ci lasci le penne e la maestra si ritrovi vedova senza che nessuno al mondo sappia che era coniugata. Per cui decide di far finta di niente, presentarsi all’appuntamento stabilito con i familiari e sposare il cinquantenne. Con qualche apprensione però, perché teme che spuntino una carta burocratica a svelare il suo stato civile o un testimone a spifferare il segreto e inoltre, da sconosciuta, vorrebbe anche ritagliarsi il tempo di andare al funerale del marito perché, pur anaffettiva, qualche segnale di turbamento non riesce a nasconderlo. Siamo appena a metà del brillante plot, concepito da uno scrittore coetaneo di Verga e pendant inglese di Leopardi, convinto che il gioco del destino rende imprevedibile l’esistenza umana e che gli uomini sono fatti per non capirsi. Non abbiamo intenzione di rivelare altro, ma il meccanismo narrativo è oliato alla perfezione e funziona benissimo l’idea di cucinare una storia di coppie, matrimoni e funerali usando tutti gli ingredienti (la logica, l’umorismo, il dramma, l’affresco sociale), tranne l’amore. Per giungere a una saggia conclusione, capace di convincere perfino un’eroina dell’indifferenza come quella di Hardy: “nell’umanità non c’è nulla da disprezzare, ma infinitamente tanto da compatire”. Buon 2 giugno.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)
“Destino vuole però che il novello sposo, tuffatosi in mare per farsi una nuotata, ci lasci le penne”
Da IL 2 GIUGNO DI THOMAS HARDY – Editoriale di Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)