Esattamente 150 anni fa, il 9 giugno 1870, moriva Charles Dickens. Uno che il lockdown avrebbe rovinato. Infatti trascorreva le notti a passeggiare per le vie di Londra. Escursioni che gli permisero una conoscenza precisa della città, che gli consentì di calare le sue storie nella topografia esatta delle vie che la sua mente fotografica conteneva. Anzi, si può dire che la varietà e la complessità della Londra vittoriana alimentarono la sua creatività, per cui capitava che fosse l’intrico dei vicoli, delle piazze e dei viali a suggerire e ispirare la narrazione. Osservatore maniacale, Dickens fu anche un finissimo uditore dei dialetti, delle inflessioni del tono e dei tic verbali delle differenti classi sociali che popolavano i vari quartieri, dotato del singolare talento di percepire e immagazzinare, con antenne sensibilissime, immagini e suoni della Londra dell’Ottocento. Così il modo migliore di rendergli omaggio è quello di ripercorrerne i passi, a partire dalla sua casa al numero 48 di Doughty Street, diventata oggi il Museo Charles Dickens. Chesterton confessava di essere stato un ammiratore così appassionato di Walt Whitman che udire qualcuno raccontare di averlo incontrato per strada bastava a emozionarlo. Sarà forse una concezione salvifica della letteratura quella che ci spinge a percorrere le strade che i nostri scrittori del cuore hanno calpestato, a visitare le case che hanno abitato, fino a quella esperienza ancor più candidamente perversa che consiste nel recarsi nei luoghi dove vivono, pur senza essere mai esistiti, i personaggi dei loro romanzi. Così, ammaliati dal viluppo di memorie letterarie, possiamo correre qua e là per le vie di Londra in cerca dei fantasmi chiusi nelle pagine dickensiane: al Royal Exchange in Threadneedle Street, dove l’avaro Scrooge viene trascinato dallo Spirito del Natale Avvenire; all’incrocio tra Ludgate Hill e Newgate Street, dove la folla dei rivoltosi di “Barnaby Rudge” invade la città come un fiume in piena; al Lincoln Inn Fields, dove si è perfettamente conservata la casa della “Bottega dell’antiquario” dell’omonimo romanzo, abitata dalla piccola Nell e dal nonno disgraziato; in Garden Court, dove ogni giorno, passandoci davanti per andare a lavorare in Fleet Street, quell’anima candida del Tom Pinch di “Martin Chuzzlewitt” guardava verso gli scalini per vedere se ci fosse l’adorabile sorella Ruth ad aspettarlo; a Farrington Road, in una traversa della quale c’è il covo dal quale il malvagio Fagin inviava Oliver Twist e i suoi compagni di sventura a rubare; al numero 33 di Rose Street, dove David Copperfield va a bere nel giorno del compleanno. E c’è da sbattezzarsi per scoprire quale mai sarà la grande casa d’angolo in cui Paul Dombey e i suoi figli vivono la loro tragica saga, dallo splendore iniziale alla dissoluzione economica ed esistenziale, in uno dei romanzi più ossessionati dal mutamento e dalla condanna dello scorrere del tempo. Dickens ci dice solo che “sorgeva sul lato in ombra di una via lunga, buia e terribilmente distinta nella zona tra Portland Place e Bryanstone Square”. Perlustrando quel quartiere, l’ipotesi è che potrebbe trattarsi di Blandford Street, ma anche Baker Street corrisponde abbastanza all’identikit. E se Dombey fosse stato vicino di casa di Sherlock Holmes? Si possono intrecciare universi letterari paralleli, usando i romanzi come mappe delle città.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)
“Esattamente 150 anni fa, il 9 giugno 1870, moriva Charles Dickens. Uno che il lockdown avrebbe rovinato. Infatti trascorreva le notti a passeggiare per le vie di Londra. Escursioni che gli permisero una conoscenza precisa della città, che gli consentì di calare le sue storie nella topografia esatta delle vie che la sua mente fotografica conteneva”
Da IL 9 GIUGNO DI CHARLES DICKENS – Editoriale di Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)