IL CELLULARE


Editoriale del 15 marzo 2019

Serve a poter chiamare da qualsiasi parte siamo, se ci perdiamo in alta montagna o ci fermiamo in macchina lontano da centri abitati. Serve a rispondere senza lasciar capire dove ci troviamo, fosse anche un letto d’albergo con un’amante vicino. Serve ai timidi che entrano in un locale fingendo di parlare al cellulare anche se è spento. Serve a interrompere telefonate noiose fingendo che non ci sia campo. Col cellulare infatti aumentano le visioni di pattuglie di polizia. Utile per le persone non puntuali: “Sto arrivando, fra venti minuti sono lì”.

Riempie i nostri tempi morti. Nessuno si ferma più a congetturare, a fantasticare, a godersi un bel silenzio o i rumori della natura. Ci sono le chat, What’s app, i messaggi e ci danno l’idea che qualcosa succeda sempre. C’è addirittura chi non riesce a fare una battuta o a guardare il mondo con leggerezza, e si affida al repertorio del suo cellulare, chiamando gli altri all’ascolto, come se ne avesse un qualche merito. In un gruppo c’è sempre chi fruga nel cellulare per scoprire se può dialogare con qualcuno, trascurando che ne ha altri tre o quattro intorno. Per non parlare di quelli che ti mostrano una serie di foto di donne generose, cercando la tua ammirazione. Abitudini nuove, tic, manie, droga comportamentale. Sempre meglio che essere costretti a vedere le foto di una vecchia zia o quelle scattate durante l’ultimo viaggio. Ci sono i campioni di tastiera, velocissimi. Apprezzo la bravura meccanica, ma non vado a vedere cosa scrivono, per non svilire quell’idea di grande inventiva, fantasia scrittoria che mi avevano suggerito. Al riparo di un cellulare riusciamo ad essere propositivi, audaci anche, sfrontati. Quindi mi immagino una apertura di nuovi orizzonti comportamentali, una banalizzazione di timidezze ingessanti. Invece senza il cellulare si ritorna alle vecchie abitudini, alle note incapacità. Si ha bisogno del supporto, che non ci trasforma per niente, anzi ci lascia pigri e indolenti, tanto abbiamo lo strumento per venirne a capo.

Nino Nonnis (Sa Cavana di Aristan)

 

Riempie i nostri tempi morti. Nessuno si ferma più a congetturare, a fantasticare, a godersi un bel silenzio o i rumori della natura (da IL CELLULARE – Editoriale di Nino Nonnis)

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