IL DOLORE DEL MUSCHIO CALPESTATO


Editoriale del 6 giugno 2014

La lingua, ogni lingua è poetica anche in prosa perché, oltre che strumento di emissione e comunicazione di segni, è l’espressione di un ritmo, di una musicalità, di una sequenza motoria che struttura il succedersi di sonorità e gli dà forma senza l’intervento dei significati delle parole. Questo modo di utilizzare la lingua è governato dalla “potenza dell’accento”, base di quell’insieme delle regole che nella poesia greca e latina, per esempio, riguardano la quantità o la durata sillabica in sé e nel complesso della parola e del verso. Qui siamo dunque in presenza di caratteristiche specifiche della lingua quali l’intonazione, l’aspirazione, la quantità, che concorrono a dare melodia alle proposizioni.
A infondere questa musicalità alla parola è l’armonia con il nostro respiro, attraverso il quale sentiamo il ritmo originario del nostro corpo ed entriamo in sintonia profonda con esso. Nella nostra epoca a capire e a esprimere in maniera profonda questo accordo è stato un attore straordinario, Carmelo Bene, al quale non a caso si deve questa mirabile riflessione sul rapporto tra discorso e suono: “La degradazione (de-generazione) del linguaggio umiliato «può cantare parole incomprensibili». La vanità e tristezza dei fiori, l’agonia e viltà animali, l’esultanza inconsapevole dei bambini, il dolore del muschio calpestato, il raccapriccio di uno specchio infranto, la stanchezza della neve, il vento imbavagliato, possono trovare un suono oltre il discorso”. (Carmelo Bene. Opere, Milano Bompiani, 2004, p. 1023).

Silvano Tagliagambe
(Iconologo di Aristan)

COGLI L’ATTIMO

 

da A me gli occhi, please di e con Gigi Proietti

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