Avevo 18 anni quando visitai Napoli per la prima volta. Mia madre mi aveva avvertito di diffidare del gioco delle tre carte ed io ero convinto di saper resistere alla sua seduzione. Nell’angolo di una piazza, fui incuriosito da un gruppo di uomini esagitati che vociferavano attorno ad un tavolino, sul quale il mazziere miscelava tre carte, due nere ed una rossa, recitando: “carta vince, carta perde”. Quegli uomini facevano tifo per un giocatore che vinceva quando puntava sulla carta rossa e perdeva puntando su una delle due nere. Il mazziere mi offrì di giocare gratis. Accettai e vinsi, festeggiato dagli spettatori, che mi incoraggiarono a giocare una seconda volta, senza soldi. Vinsi ancora, una cifra modesta. Incoraggiato e compiaciuto dall’ammirazione dei compari, persi dei soldi in due giocate successive. Subentrò la voglia di rivincita e di recuperare l’ammirazione dei miei sostenitori! Quando arrivai a puntare la cifra più alta, le ultime cinquemila lire (costo del biglietto del piroscafo per Cagliari) mi prese un improvviso rimorso che mi spinse a compiere un gesto temerario: ghermii la mia banconota prima che il mazziere voltasse la carta e mi dichiarasse perdente. Ma la banconota, trattenuta dalle dita del mazziere, finì strappata a metà. Io fuggii per evitare di essere malmenato dai miei sostenitori. Sentivo che qualcuno mi correva dietro: era il mazziere! Mi raggiunse trafelato e mi consegnò la mezza banconota: “Metà non serve né a te né a me: è tua, te la rendo!”
Venti anni dopo ero a Napoli per ricoverare un paziente nel reparto psichiatrico dell’Ospedale Federico II. Era un giovane alto robusto affetto da disturbo bipolare, in fase maniacale. Come fu per me vent’anni prima, fummo attirati da un gruppo di uomini concitati attorno ad un tavolino sul quale il mazziere maneggiava le tre carte recitando: “carta vince carta perde”. Non riuscii ad impedire che il mio paziente giocasse due partite, puntando gratis sulla carta vincente e poi perdesse progressivamente tutti i soldi in suo possesso. Quando comprese di essere stato truffato, come feci io venti anni prima, il mio paziente fece una mossa azzardata: con la mano sinistra afferrò il mazziere per il bavero della camicia e con la destra, simulando la canna di una pistola, gli puntò il dito indice sull’occhio destro intimando con voce ferma e terribile: rendimi i soldi o ti acceco! La sua faccia aveva subito un a metamorfosi come quella dell’Incredibile Hulk! Il mazziere e i suoi compari rimasero paralizzati dall’emozione. Il mazziere con voce tremante disse: “ti rendo i soldi, ma solo i tuoi!” Il paziente commentò: “sarò matto ma non pollo”.
Molti anni dopo, sempre a Napoli, fui attratto da un gruppo di uomini esagitati attorno ad un tavolino sul quale il mazziere officiava le tre carte. Tra quegli uomini ce n’era uno disperato che puntava sulla carta perdente, con la speranza di rifarsi delle perdite subite. C’era la moglie, che lo supplicava piangendo di smettere e un bambino che piangeva gridando: papà andiamo via, torniamo a casa! Quella famiglia disperata, che richiamava i turisti di passaggio, mi commosse profondamente, sentii che dovevo intervenire! Mi avvicinai all’uomo e gli spiegai, a bassa voce, che era destinato a perdere perché quel gioco era una frode. Smise di lamentarsi e mi rispose: “lo sai perché l’Italia va male?… Perché c’è gente come te che non si fa i cazzi suoi!” La moglie aveva smesso di gridare e il figlioletto di piangere!
Gianluigi Gessa (Neuroscienziato di Aristan)
“Avevo 18 anni quando visitai Napoli per la prima volta. Mia madre mi aveva avvertito di diffidare del gioco delle tre carte e io ero convinto di saper resistere alla sua seduzione.” Da IL GIOCO DELLE TRE CARTE – Editoriale di Gianluigi Gessa (Neuroscienziato di Aristan)