Talvolta mi chiedo cosa mi manchi per affrontare decentemente le condizioni di vita sulla Terra e mi sento del tutto inadatto: non sono riuscito a colonizzare nemmeno l’appartamento in cui abito. Mi tengo informato però sui progressi che fanno genetisti, designer o fancazzisti nel tentativo di descrivere l’uomo che nascerà tra centomila anni. Provo a immaginarmi guardandomi allo specchio: tutta un’altra persona. Occhi enormi e vitrei come quelli di un calabrone, per vivere in oscure parti dell’universo lontane dal Sole; fronte ampia e testa molto grossa, per far posto a un cervello sicuramente più ingombrante di quello che possiedo; pelle pigmentata, per proteggermi nel cosmo dalle radiazioni ultraviolette; palpebre più spesse e arcate sopracciliari più marcate, per evitare disorientamenti visivi. Al netto di protesi, lenti a contatto e microchip impiantati un po’ ovunque. Tutto ciò sarei io tra centomila anni. Impegnato a vagare nel cosmo, invece che tra il bagno e la cucina. Perché sono venuto al mondo così presto?
Marco Schintu
(Ufficio pesi e misure di Aristan)
Tutto ciò sarei io tra centomila anni. Impegnato a vagare nel cosmo, invece che tra il bagno e la cucina. Perché sono venuto al mondo così presto?” (da IO, TRA CENTOMILA ANNI, editoriale di Marco Schintu)