Le guerre, le catastrofi naturali, il cambiamento climatico, le morti in mare, i migranti respinti a fucilate. Sarebbe già abbastanza per sentirsi inchiodati di fronte alle domande definitive, quelle che non si possono aggirare. Ma negli spezzoni dell’orrore vomitati 24 ore al giorno dai telegiornali, e in quelli solo immaginati che mai ci raggiungono eppure consumano le esistenze, l’assuefazione e la distanza percepita generano indifferenza. Viviamo un tempo, noi nati nell’occidente del mondo, nel quale la paura è un fatto privato e mai prima d’ora ci ha sfiorati collettivamente. Per questo, al netto delle opinioni estreme, pandemia o raffreddore, il covir 19 ci mette al centro del più grande esperimento sociale del secolo nuovo. Nel caleidoscopio di reazioni c’è ogni possibilità. Il tempo per rallentare e guardare senza filtri se stessi e gli altri, l’ansia per quanto non possiamo controllare, l’equilibrio tra la paranoia e la negazione spensierata e inconsapevole, l’atteggiamento smargiasso di chi si sente sempre al riparo e ostenta viaggi e apericena affollati, il giusto mezzo di chi sceglie di volta in volta, l’utilitarismo bieco del darwinismo postmoderno, che si vada avanti e pazienza per i più deboli, che tanto sono la minoranza, l’energia dei complottisti che godono di presunti giochi politici e censure dell’apocalisse. I paragoni con il passato si sprecano, dalla peste alla spagnola. Il mondo andrà avanti, nel complesso. Ma resta l’adrenalina e lo sconcerto di chi si scopre vivo all’improvviso e immerso in uno scenario distopico, romantico come le strade di Milano deserte, spaventoso come il respiro degli intubati in rianimazione, percepisce con forza l’urgenza di decidere chi vuole essere. Non ci sono Manzoni, si dice, a rendere l’incertezza letteratura. Non ci sono valori collettivi, nessuna solidarietà a sovrastare l’egoismo, come dimostrano i supermercati vuoti. Eppure ancora non sappiamo niente della nostra umanità, se non che la sensazione di un declino in accelerazione inarrestabile ci renderà finalmente ciò che siamo stati solo in potenza. Vitali, generosi, disperati, arresi, fatalisti, innamorati, cinici, curiosi, deboli, spavaldi. Vivi. Con buona pace di Montale, di fronte al pericolo non ci basta dire ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. In un colpo di reni quasi inaspettato cerchiamo d’improvviso la formula che mondi possa aprirci.
Eva Garau (Precaria di Aristan)
Eppure ancora non sappiamo niente della nostra umanità, se non che la sensazione di un declino in accelerazione inarrestabile ci renderà finalmente ciò che siamo stati solo in potenza. Vitali, generosi, disperati, arresi, fatalisti, innamorati, cinici, curiosi, deboli, spavaldi. Vivi. (da LA FORMULA CHE MONDI POSSA APRIRCI – Editoriale di Eva Garau)