L’UMILTÀ DI DIO, LA SUPERBIA DELL’UOMO


Editoriale del 27 dicembre 2013

La Cabbala teurgica dello Zohar tratta il problema della creazione sottolineando che, perché il mondo fosse creato, la Divinità unitaria doveva «rimpicciolirsi» rispetto alla sua Deità.
Pensiamo al grande significato e alla lezione di questo commento. Dio, l’essere perfetto per eccellenza, completo al massimo grado e dunque autonomo e bastante a se stesso, a un certo punto sceglie di creare un altro da sé per entrare in relazione con esso. Grande lezione, che sottolinea l’importanza e il valore supremo del rapporto con l’altro, il creato in questo caso, realizzato e posto in atto anche a costo di sacrificare, inevitabilmente, parte di se stesso, parte della propria divinità!
Quanti uomini che si sentono dei, che nella loro superbia si presentano come unti dal Signore, capiscono il senso profondo di questa lezione? Essi, nel loro cieco narcisismo, sono convinti di poter fare a meno dell’altro, di poter arricchire e potenziare a dismisura il proprio «io» senza stabilire alcun legame autentico con il «tu», con il prossimo in cui di volta in volta s’imbattono. La loro vita, per questo peccato di superbia, è tenebra, oscurità. Se in terra c’è un inferno, si trova certamente nel cuore di questi uomini. Perché, come scrive Dostoevskij ne I fratelli Karamàzov, “L’inferno è la sofferenza di non poter più amare”.

Silvano Tagliagambe
(Epistemeudomonologo di Aristan)

COGLI L’ATTIMO

 

dalla trasmissione TV Milleluci (1974) uno sketch di Tino Scotti

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