Giovanni ha 14 anni e l’esame di licenza media a breve. “Le rivoluzioni”, il tema. Non parla d’altro che di astronomia, di Copernico, di scienziati. Si chiede cosa portare per letteratura, forse Dick. E lo sapevi che i pianeti nel loro moto emettono dei suoni? Le nostre telefonate scorrono liquide attraverso i giorni. Ho iniziato io, lo assillavo perché andasse a scuola. Ora mi chiama lui, la voce della notte che nel giro di qualche minuto torna limpida, mi racconta il film di Chaplin visto in classe mentre scendo dall’aereo, mentre corro tra una riunione e un seminario. Lo interrogo sull’Africa in vivavoce, incastrata nel traffico. Al semaforo siamo all’ermetismo. Mentre ripete ho in testa i suoi occhi lucidi alla fine del brano sul tipografo di Duval. Quando non capivo se piangesse perché lo avevo costretto a leggere a voce alta, tra tentennamenti e scuse. Invece no, non gli pareva possibile sentire il dolore e la paura e la rimozione del soldato di Remarque. Chiudi, sono sotto casa tua. Non ci dovevo venire oggi, a fargli lezione. Ho poco tempo e troppe cose da studiare, io pure. Ma Giovanni è un rivoluzionario e mi ha conquistato. La playstation impolverata, quello sguardo assente e l’insonnia evaporati. Niente più ritardi, assenze, mal di pancia. Da sfida impossibile a commozione continua, Giovanni. Non so cosa sia successo, non c’entro niente io. Sono state pochissime ore e sempre con il cappotto indosso, sul filo del tempo. Io ho solo detto cose confuse sulla libertà, sulla mia certezza che lui possa raggiungere qualunque obiettivo, a patto di sacrificarsi. Gli avevo promesso che non sarebbero state lacrime e sangue, gli avevo promesso che avremmo incontrato tanta bellezza nella poesia e nella letteratura e persino nella storia, perché la storia riguarda gli uomini, anche lui. Per la grammatica ci sarà l’estate. Ogni giorno mi colpisce la meraviglia nascosta sotto la patina opaca della sua solitudine. E oggi che è Pasqua sono certa che questa sia la resurrezione laica più potente che abbia mai incontrato. Penso alla gloria degli insegnanti che posso risvegliare orgoglio, coscienze, pensieri, passioni. Mi pento di non aver scelto in tempo la scuola. Perché l’azione politica più rivoluzionaria la fanno i professori quando entrano in classe e iniziano il teatro, in equilibrio tra sapere e dire. Così Leibniz: “Colui che è maestro di scuola può cambiare la faccia del mondo”. Dovremmo venerarli, i maestri, per ogni adolescente impermeabile che un giorno, invece, ritaglia una poesia di Ungaretti e la appende al muro. Il mondo che sarà tra vent’anni lo stanno scrivendo loro, adesso. Buona resurrezione a tutti.
Eva Garau (Precaria di Aristan)
Perché l’azione politica più rivoluzionaria la fanno i professori quando entrano in classe e iniziano il teatro, in equilibrio tra sapere e dire (da RIVOLUZIONI – Editoriale di Eva Garau)