Gli “studiosi” di Aristan ricorderanno le lezioni di Prof. Gessa che, in base alle neuroscienze, “sapeva dove era l’anima”, ma alla fine accennava a un “resto”: il fatto della “coscienza”, l’hard problem con cui ancora fare i conti. Ci sta provando da qualche tempo, a fare questi conti, la Teoria dell’Informazione Integrata (IIT), ma invertendo il procedimento: mentre Prof. Gessa partiva dalla fisica (cervello, nervi) per arrivare alla fenomenologia (esperienze soggettive), la IIT ha scelto di partire dalla fenomenologia, arrivando a definire cinque caratteristiche fondamentali di ogni atto di coscienza, per poi individuare quali requisiti fisici siano necessari a renderle possibili. Hanno concluso che la coscienza si può misurare, e per farlo usano una nuova unità di misura, il Phi, con uno strumento ancora “primitivo” detto coscienziometro (uno stimolatore magnetico transcranico). Principali piani di applicazione: la terapia di pazienti con gravi lesioni cerebrali, la ricerca sulla coscienza degli animali e sullo sviluppo della coscienza umana, le tecnologie di intelligenza artificiale. Eppure, un “resto” sembra ancora rimanere anche per l’IIT: «Anche se un domani un calcolatore fosse in grado di replicare perfettamente tutte le funzioni cognitive di una persona cosciente […] anche se citasse Dante e fischiettasse Verdi […] sarebbe letteralmente solo una macchina che recita una parte, senza avere né esperienza soggettiva né libero arbitrio; una macchina che esiste per noi, osservatori esterni, ma non per se stessa, dall’interno. […] Anche se un calcolatore del genere, al comando di un corpo adeguato, potesse incantarci quanto e meglio del più affascinante dei nostri simili… dietro occhi seducenti ed espressivi non ci sarebbe assolutamente niente – il vuoto dell’incoscienza. E se tali macchine prendessero il sopravvento, il mondo diventerebbe, nelle parole del grande fisico quantistico Erwin Schrodinger «una recita davanti a un teatro vuoto» – un teatro di marionette per marionette. Perché fare non è essere, ed essere è essere coscienti.» [Giulio Tononi, “padre” della IIT, su “Domenica” del Sole 24Ore 13 novembre 2016, p. 1).
Non siamo, dunque, Signore, marionette in scena,
e credere è parlarsi in un teatro di reciproche presenze,
ciascuno con o senza poesia, tua o mia.
E se un giorno con precisione mi diranno
quanti Phi o gradi di coscienza ci vollero al «pastore errante» a parlarsi con la luna,
Hallelujah anch’io ti dirò per il progresso, Signore muto di ogni scienza,
ma soprattutto ringrazierò per le poesie già, senza misura, dette.
E mi sarà ancora compagna la greggia del poeta,
che, a misura sua, la miseria sua, credo, sapeva.
Antonio Pinna
(salmista di Aristan)
E se un giorno con precisione mi diranno / quanti Phi o gradi di coscienza ci vollero al «pastore errante» a parlarsi con la luna, / Hallelujah anch’io ti dirò per il progresso
(da Salmo 60 «CHE FAI TU, LUNA, IN CIEL?». QUANTI PHI PER DIRLO?)
Carmelo Bene – Canto Notturno di un Pastore Errante dell’Asia