SAN ROSSELLINI


Editoriale del 6 ottobre 2020

Quando ero bambino il 4 ottobre non si andava a scuola, era festa nazionale: San Francesco, il patrono d’Italia. Quest’anno, nonostante il papa si chiami proprio come il poverello di Assisi, mi pare che la ricorrenza sia stata completamente dimenticata, tra il Covid di Trump e il processo a Salvini. Si potrebbe rimediare vedendo “Francesco giullare di Dio”, un film del 1950 di Roberto Rossellini, reduce da “Roma città aperta”, “Paisà” e “Germania anno zero”. E per certi versi anche il film su San Francesco è neorealista, nonostante il tema. L’incontro tra Rossellini e Francesco avviene proprio all’insegna di un neorealismo in cui lo straordinario nasce dall’accumulo di momenti ordinari e dal disagio che essi provocano. Il nocciolo della poetica cinematografica di Rossellini è filmare una coscienza al punto di svolta, e la svolta provocata dal cristianesimo radicale di Francesco rappresenta la scelta più rivoluzionaria e anticonformista possibile. Rossellini considerò sempre la trama un ingombro e il soggetto un nemico: la sua libertà di filmare aveva come obiettivo il fatto capace di rivelare la verità, nella quale il papà del (neo)realismo credeva incrollabilmente. Il suo è un cinema frammentario e discontinuo, a rischio di bozzettismo, debole negli snodi e nei raccordi di una sceneggiatura talvolta trasandata, a vantaggio della freschezza delle immagini. Un cinema che diventa potente quando la tensione sprigionata dal reale, pur calcolata e programmata, sembra genuina, palesatasi da sola in modo spontaneo: allora la banale quotidianità svela un’epifania di stupore e verità. Così la macchina da presa riesce a comunicare la fragranza della vita senza bisogno di un montaggio che indirizzi la coscienza dello spettatore verso una tesi. Accade quando la grazia dell’ispirazione sovrasta l’ideologia. Accade appunto con “Francesco giullare di Dio”, che Goffredo Fofi definì “tutto grazia ed esaltazione della grazia”: il segreto è l’adesione essenziale con cui Rossellini si accosta al messaggio francescano. Un’adesione che sposa magnificamente la semplicità del contenuto allo stile umile e asciutto delle immagini, fatto di austerità e povertà: il registro comunicativo della messinscena risulta in perfetta sintonia con quello dei fraticelli. Un realismo spoglio e autentico pervade un’opera, impaginata in un severo bianco e nero, che si avvale di uno sceneggiatore d’eccezione: Federico Fellini. Chi lo trovò poco interessante dal punto di vista storico aveva ragione. Infatti il valore del film non è storico, ma poetico. Quando, negli anni Settanta, Rossellini tenterà la ricostruzione documentaria della storia (“Anno Uno”, “Il Messia”), i risultati saranno molto modesti.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote)

“Quest’anno, nonostante il papa si chiami proprio come il poverello di Assisi, mi pare che la ricorrenza sia stata completamente dimenticata.”

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