Se c’è una cosa che la pandemia in corso avrebbe potuto insegnarci è l’arte dimenticata della lentezza in tutte le sue accezioni, dalla pazienza alla riflessione, dalla cura all’attesa, dalla flessibilità alla distanza. Non come vuoto o rinuncia ma come appassionata immersione nel tempo e nello spazio. Come occasione per essere in un luogo o in un pensiero tutti interi, senza fughe in avanti, senza ansie da multitasking, dittature da agende e comparsate distratte. Le neuroscienze hanno ampiamente confermato che il cervello è una macchina lenta che necessita di seguire ritmi e sequenze scanditi nettamente per soddisfare appieno le proprie funzioni. Eppure quelli che ci spingono a una velocità di movimento e pensiero eccessiva sono proprio i meccanismi cerebrali che cercano soluzioni rapide a una serie di impulsi (sempre più spesso digitali) creati dai noi stessi, per stare appresso ai quali rinunciamo, quotidianamente, alla piena corrispondenza tra potenza dell’intento e compiutezza dell’atto. In altre parole alla felicità, o almeno al piacere. La condizione di limitata libertà personale che tutti sperimentiamo avrebbe potuto rappresentare un’eccezionale occasione per un esperimento sociale sui benefici della lentezza. Ma andiamo troppo di fretta, ci scateniamo come pazzi alla vigilia di un nuovo lockdown cogliendo l’ultima occasione che il destino sembra offrirci per gettarci in massa sull’aperitivo della fine dei giorni, per fare razzia di scarpe in offerta al discount da rivendere on line per cento volte il loro valore a quelli che non sono stati veloci abbastanza o per spendere il bonus mobilità in biciclette da caricare in macchina per raggiungere più velocemente posti ideali nei quali usare le biciclette comprate per cambiare stile di vita. Odiamo le perdite di tempo. Ciò che ci offende è il ritardo che si accumula nelle nostre giornate, sono i vuoti, le attese, i tempi morti. La percezione di perdere del tempo, nella nostra finitezza temporale, è per noi inaccettabile e crea frustrazione e senso di colpa. Per questo non scopriamo mai niente di nuovo. Per questo ci annoiamo a morte. Eppure , diceva Russel, essere in grado di riempire il tempo libero in modo intelligente è il miglior prodotto della civilizzazione. Russell non sapeva che oggi nessuno ha del tempo libero, ovviamente. E che il tempo libero è un concetto da alta borghesia primonovecentesca. Ne discuterei più diffusamente, chiedendo l’opinione di chi legge. Ma ho già perso un sacco di tempo a scrivere questo editoriale e ora sono in ritardo sul prossimo ritardo.
Eva Garau (Precaria di Aristan)
“Odiamo le perdite di tempo. Ciò che ci offende è il ritardo che si accumula nelle nostre giornate, sono i vuoti, le attese, i tempi morti. La percezione di perdere del tempo, nella nostra finitezza temporale, è per noi inaccettabile e crea frustrazione e senso di colpa.”
Da SCUSATE IL RITARDO – Editoriale di Eva Garau (Precaria di Aristan)