STRISCIA DI GAZA


Editoriale del 3 settembre 2021

La striscia di Gaza. Detta così sembra un piccolo lembo di terra, largo e lungo quanto una spiaggia scomoda, stretta e corta. Invece è luogo epicentro di battaglia, da molto tempo. Così la immagino io, come un luogo deputato a ospitare gli scontri tra due popoli confinanti. Un tempo se volevi bisticciare invitavi l’altro fuori, fuori dal bar per esempio, per non dovere pagare poi i danni. Gli scontri fra israeliani e palestinesi avvengono sempre a Gaza e non capisco come qualcuno possa viverci tranquillamente da quelle parti.
Molte madri dei tempi miei raccomandavano ai figli di non bisticciare con nessuno e di non rispondere alle provocazioni, specie se i contendenti erano “is allegronis”, che chiamavano anche i ragazzacci o ragazzi di strada. Io ho avuto amici che giustificavano la propria neutralità dicendo semplicemente “Mamma non vuole” e io mi chiedevo come fosse mai possibile che i genitori lo educassero a non difendersi. Poi ho assistito a un episodio illuminante e ho capito. Lo facevano perché il figlio non prendesse più colpi di quanti dovuti. “Accontentati di quelli che hai preso altrimenti il resto te lo do io”. Non erano cultori della non violenza se non quella contro il proprio figlio. Quando il pargolo obbediente tornava a casa con dei lividi, quella mamma pensava a quanti se ne era risparmiato. Ovviamente questo succedeva quando il figlio era uno che era predisposto a prenderle. Se era uno bello dumbo, il genitore suggeriva di attripare, cioè di rispondere ai colpi, il famoso “me ne ha dato ma gliene ho dato anch’io”.
Sono stato educato diversamente. Mio padre mi chiedeva direttamente come era finita, se avevo vinto per abbandono o ai punti. Eravamo abituati a prendere colpi, a scuola, dagli insegnanti intendo. Bastava sbadigliare durante la lezione, o sbagliare una tabellina. Le punizioni corporali erano varie e anche ossute, insegnanti segaligne e tanti altri difetti, avevano un repertorio correttivo notevole. Adesso è vietato anche riprendere un bambino a voce alta, arriva un genitore che pretende che lo si rimproveri sussurrando con preghiere dissimulate, ma il bambino non capisce perché è abituato in casa alle urla del padre, della mamma e della nonna.
Ci sono popoli nelle stesse condizioni di forza, figli forzati di quelle madri apprensive: sono meno armati dei vicini di confine e meno ricchi, per cui sanno che subiranno. Capita infatti che gli vengano fregati lembi di terra, e non devono lamentarsi, altrimenti due pappine, scaramuccia e quelle che si chiamano ritorsioni quando a reagire è il più forte. Ed è meglio non fare tante storie altrimenti te ne levano altri. Come gliela spiego a mio figlio? Che si lamenta perché il vicino mette il televisore a volume alto.

Nino Nonnis (Sa Cavana [la roncola] di Aristan)

“Mio padre mi chiedeva direttamente come era finita, se avevo vinto per abbandono o ai punti. Eravamo abituati a prendere colpi, a scuola, dagli insegnanti intendo. Bastava sbadigliare durante la lezione, o sbagliare una tabellina. Le punizioni corporali erano varie e anche ossute.”
Da STRISCIA DI GAZA – Editoriale di Nino Nonnis (Sa Cavana [la roncola] di Aristan)

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