Napule è nu sole amaro
Napule è addore e’ mare
Napule è na’ carta sporca
E nisciuno se ne importa
Così cantava, con struggente malinconia, un geniale figlio di Napoli, Pino Daniele. Invece a qualcuno importò, e senza aspettare “a’ sciorta”, cioè la sorte, come faceva ognuno, secondo il verso successivo della canzone, prese quel pezzo di carta sporca e lo fece volare su su, sempre più in alto, fino a dargli i colori dello scudetto di campione d’Italia nello sport più amato dagli italiani. Non era nato lì, veniva da lontano, dall’altra parte del mondo, ma seppe diventare cittadino di Napoli e identificarsi, più e meglio di molti locali, con questa straordinaria capitale del Sud, che tanto ha in comune con la sua Buenos Aires.
A Napoli, in quei tempi, c’era anche un attore straordinario, Massimo Troisi, che nel mitico sketch della smorfia, dovendosi rivolgere a San Gennaro per chiedergli la grazia di fare uscire i numeri del lotto che aveva giocato, si trova a dover competere con un altro “fedele” che vuole la stessa cosa, con numeri diversi, ovviamente. E se ne esce con una battuta strepitosa e dissacrante: “Solo che nun volesse ca ‘o fatto che tu pierde tutto chillo sanghe, ogni anno, pe’ fa ‘o miracolo, he’ capito… nu poco d’anemia, ‘na cosa… accumence a vedé ‘na faccia pe’ nata”. Se c’è una cosa ammantata da un’aureola di sacralità, a Napoli, è il miracolo di san Gennaro, la liquefazione del suo sangue che si celebra tre volte l’anno e che viene presa tanto sul serio che, in caso di esito negativo, l’intera cittadinanza teme di venire investita dalle peggiori sciagure. Solo un grandissimo personaggio poteva permettersi il lusso di demistificarla. Ecco cosa avevano in comune questi tre personaggi, ecco cosa ne fa una trinità irripetibile: la dissacrazione, che induce Pino Daniele a definire Napoli, la sua amatissima città, “na’ carta sporca”, Massimo Troisi a dissacrare San Gennaro, e Maradona a dissacrare tutto e tutti, anche il mondo del calcio a cui doveva la sua fama. Per giungere a tanto occorre avere una mente sottile e un cuore grande: e non è certo un caso che tutti e tre siano morti per cedimento del loro cuore stremato da questo sfoggio d’ironica intelligenza e, contemporaneamente, traboccante d’amore e di passione verso ciò che dissacravano.
Silvano Tagliagambe (Iconologo di Aristan)
“Se c’è una cosa ammantata da un’aureola di sacralità, a Napoli, è il miracolo di san Gennaro… Solo un grandissimo personaggio poteva permettersi il lusso di demistificarla.”
Da TRINITÀ NAPOLETANA – Editoriale di Silvano Tagliagambe (Iconologo di Aristan)