Ai tempi del liceo, quando arrivavano le vacanze, c’era la visita rituale al negozio di dischi e, siccome ero promosso (anche con una media dignitosa), tutti i soldi che ricevevo in premio garantivano l’acquisto di una decina di album. Una scorpacciata di musica che riempiva l’intera estate. Da allora, la visita rituale si è ripetuta puntualmente ogni anno, mantenendo la tradizione pur nel mio passaggio dal banco alla cattedra, ma solo quest’estate ho avuto la sensazione di riallacciarmi per incanto a quel periodo lontano. Quando ho inserito nel lettore cd l’ultimo album di Little Steven, intitolato guarda caso proprio “Summer of sorcery”, l’emozione era vicina a quella della madeleine di Proust: un rock fresco ed energico, dalla struttura forte e dalle melodie decise. Canzoni solari, dal cuore antico ma dallo swing giovane, piene di ritmo e di calore, con i testi che richiamano per l’appunto la libertà e la gioia dell’estate, rievocata magicamente facendo sprigionare tutti i generi musicali che il rock ha centrifugato in un cocktail spesso ballabile e sempre coinvolgente: dal blues purissimo (“I visit the blues”, con echi del Ray Charles di “Hit the road Jack”) alla ballad avvolgente (“Suddenly you”), dall’allegria rock corale con tanto di “sha la la” (“A world of our own”) al funk adrenalinico (“Vortex”), dal mambo (“Party mambo”) al twist (“Soul power twist”), fino al rhythm and blues scatenato alla Blues Brothers (“Superfly terraplane”) il tutto innaffiato da trascinanti riff di chitarra, una sezione fiati travolgente e arrangiamenti rock and roll di robusto impatto (“Education” richiama la gloriosa “Bitter fruit”). Per chiudere con la canzone che dà il titolo all’album, una ballata dal respiro epico che sembra scritta dal primo Bruce Springsteen, che per anni è stato il Boss di Little Steven e dei suoi Disciples of Soul. Il quale è uscito anche lui con un nuovo album, “Western stars”, molto bello e raccomandabile, per carità, ma che non ci ha emozionato neppure la metà di quello del suo vice. Perché è fatto di canzoni compassate, riflessive, adulte per non dire senili, eleganti e spesso di stoffa pregiata, però incapaci di farci tornare indietro nel tempo e di regalarci la voglia di cantare e danzare. Nel disco di Little Steven non c’è un solo brano debole, mentre in quello di Springsteen si avverte qualche, pur nobile, zeppa. L’allievo ha superato il maestro, come se il dottor Watson avesse risolto un caso su cui Sherlock Holmes si era incartato. Ascoltando “Western stars” ci sembra di avere proprio cinquant’anni, forse anche sessanta. Quello di “Summer of sorcery” è invece un rock che ci trasporta davvero in un’estate stregata e ci promette che la prossima avrà il sapore e l’atmosfera di quelle dei nostri diciott’anni. Almeno nel sound.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)
Canzoni solari, dal cuore antico ma dallo swing giovane, piene di ritmo e di calore (da UN’ESTATE STREGATA DI ROCK – Editoriale di Fabio Canessa)