Il 4 maggio 1949 alle 16:58 un velivolo a elica di nuova fabbricazione, il Fiat G 212, spariva dal contatto radio. Pioggia battente e visibilità nulla lo avevano costretto a interminabili minuti di volo alla cieca. La meta sarebbe dovuta essere Milano, scalo intermedio per raggiungere il capoluogo piemontese. Per una sfida al caso e per abbreviare la via del ritorno si era deciso invece di tornare dritti a casa, di atterrare intorno a Torino. Il viaggio si interrompe con uno schianto contro la basilica di Superga, su una collina rimasta da quel giorno nella geografia sentimentale di tutti gli italiani. E dei portoghesi, che con i passeggeri di quell’aereo avevano giocato a pallone poche ore prima, in una festa di addio per il capitano del Benfica. A bordo del Fiat G 212 c’era il Gran Torino quasi al completo, salvi gli infortunati, gli esclusi e chi si è dimenticato il passaporto. C’è un ristorante a pochi chilometri dalla collina. É’ lì che un’automobile si ferma e un uomo trafelato annuncia la disgrazia. Loik, Ballarin e Castigliano i primi a essere sottratti alle lamiere e distesi sull’erba come sfregi di una natura impazzita che strappa via i destini a dispetto di giovinezza e vigore. Eroi lo erano già, per gli italiani, non c’era bisogno che morissero per entrare nella leggenda. De Gasperi, in quel momento in Sardegna, manda Andreotti sul luogo, dove si continua a identificare i corpi fasciati nelle maglie granata, il numero degli scudetti cuciti su un lato. Cinque consecutivi, gli scudetti, l’ultimo assegnato ufficialmente dal presidente federale Barassi durante i funerali, con un discorso ai giocatori chiusi nelle bare che rimarrà nella memoria collettiva. L’Italia si era appena levata i panni pesanti della monarchia e faceva le prove da repubblica. Referendum, elezioni, assemblea costituente. Un’epoca nuova che si apriva con uno slancio mentre altre corse si spegnevano. Chissà cosa pensavano i ragazzi del Gran Torino della costituzione italiana nuova di zecca. Chissà a quali imprese si credevano destinati e da quali cadute ancora si sarebbero rialzati. Adesso sono lì, immobili e sorridenti in un’era tramontata, a farci vergognare ogni tanto di quello che è diventato il calcio. E anche la repubblica.
Eva Garau (Precaria di Aristan)
GLI EROI SON TUTTI GIOVANI E BELLI – Editoriale di Eva Garau