IL CAOS E IL CASO


Editoriale del 19 maggio 2015

Nell’ultimo canto dell’Orlando Furioso, Ludovico Ariosto mette in fila tutti i grandi del suo tempo sulla spiaggia ad accogliere la nave del poema, arrivata finalmente in porto. Grande assente, Niccolò Machiavelli, che la prese malissimo (in una celebre lettera si lamentò “che m’abbi lasciato solo come un cazo”). E’ presente invece Giulio Camillo, nome oggi sconosciuto ai più e invece all’epoca considerato genio assoluto della poesia e non solo. Inventore di un’idea a dir poco ambiziosissima, vagheggiava il progetto di un teatro che mettesse al centro lo spettatore, inserendolo in un edificio che rispecchiasse tutte le sfaccettature della realtà e dell’anima umana: un libro, innanzitutto, meraviglioso e totale, ricco di poesia e filosofia, illustrato nientepopodimeno che dal suo amico Tiziano, ma anche un’architettura vera e propria, all’interno della quale sostare per attraversare un percorso di cose e parole, colori ed emozioni in grado di riflettere tutto il reale e l’immaginario della condizione umana. Il teatro della vita: una costellazione dell’esperienza e del pensiero universali, “una mente dotata di finestre”, come la definiva lui. Che viaggiò per lungo e per largo nelle corti europee alla ricerca di uno sponsor che realizzasse il suo grande sogno di proiettare la realtà esteriore e le profondità dell’anima in un libro e in un teatro molto sui generis. E scucì un sacco di soldi al re di Francia Francesco I, per costruire un teatro di legno che avrebbe dovuto concretizzare le pagine del suo libro universale. Naturalmente il sogno non si realizzò mai e Camillo morì, nel 1544 a 74 anni, pare a causa di eccessi erotici, lasciando solo un mucchio di carte confuse e il delirio di un progetto “larger than life”, e il mondo a dividersi tra chi lo avrebbe considerato un genio della dismisura o un cialtrone perso tra l’alchimia e l’almanaccare assurdità. Oggi salutiamo con gioia il ritorno di Giulio Camillo, perché una studiosa serissima come Lina Bolzoni ha raccolto tutto il suo materiale, lo ha pubblicato in un volumone extra-lusso che sarebbe piaciuto all’autore e lo ha edito per Adelphi col titolo “L’idea del theatro”. Dimostrando che l’intento era quello, perseguito a loro modo anche da Dante, Ariosto, Manzoni e Gadda, di utilizzare l’arte per intervenire sulla vita: dandole un ordine. Un suo nipotino, Stephane Mallarmé, assetato di assoluto quanto lui, avrebbe poi concepito la non più ragionevole composizione del Livre: un Libro dei libri che abolisse la casualità. Un libro cioè che contenesse il mondo, potesse essere letto indifferentemente dall’inizio, dalla fine o dal nel mezzo, ospitando tutto lo scibile umanistico, matematico e scientifico. Come il teatro di Camillo, anche questo si risolse in nulla: del Livre rimangono un’accozzaglia di fogli di appunti sparsi, metà poesia metà numeri e calcoli, da cui sarebbe difficile raccapezzare qualsiasi tipo di struttura e qualsiasi ordine, oltre che qualsiasi senso. In entrambi i casi, il tentativo di un sincretismo impossibile: un misticismo laico o fin troppo metafisico che mette in scena la lotta tra il caos dell’esperienza e il dominio sul caso, vera bestia nera della nostra esistenza.

Fabio Canessa
preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan

COGLI L’ATTIMO

 

Giulio Camillo e il suo teatro reso in 3D

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