IL MAGONE DELLA NOSTALGIA


Editoriale del 5 novembre 2021

La nostalgia l’ho nominata tante volte, provata anche, ma nutrendosi della propria incapacità ho dovuto sempre esorcizzarne il malessere, perché si muove per due tensioni differenti, anche se qualche volta ti illudi di poterne venire a capo. L’ho provata nel senso che ho assistito, ho immaginato, anche chiesto per rendermi conto.
È successo quando ho ripensato ai viaggi di ritorno dei miei parenti sindiesi emigrati in Venezuela. Un mio cugino se ne è rientrato definitivamente e per lui è diverso. Forse per questo mi piacciono le storie di quelle famiglie che sono state capaci di cambiare la loro storia andando a vivere in un luogo diverso e hanno portato la loro specificità. Una storia che non è mai facile e prevedibile.
Quando è venuto qualche anno fa mio cugino Angelo, mi è venuta questa curiosità, perché la sua storia mi sembrava esemplare.
Adesso è un signore venezuelano che parla un perfetto spagnolo, ma ha conservato le sonorità e la dovizia della parlata dei suoi primi anni sindiesi. È diventato un campione di coleo, sport nazionale di quelle parti, ma già era campione col cavallo da queste parti, come è normale che sia.
Si è nutrito di storie contos, paristorias, episodi relativi a un piccolo punto della cartina, che per lui è stato il punto d’appoggio del compasso che fissava la sua apertura al mondo. Suo padre e i suoi zii, quando si riunivano parlavano di Sardegna, che voleva dire Sindia, e ripetevano un episodio infinite volte, come un altro si prende tante volte una bevanda fresca per placare la sete. Due anime: una che reggeva l’altra sino a sostituirsi, sino a non lasciare immaginare l’altra.
Quando venne l’altro suo fratello Antonio Michele, anche lui campione di coleo, e trascorse due mesi passando da un pranzo a una cena, con centro a Sindia, dove era nato e da dove se ne era andato quando aveva solo 14 anni, ricordo tra i tanti episodi uno che mi colpì. Andammo a unu tusolzu, una tosatura delle pecore, che è sempre anche una festa da condividere. Sapendo che era diventato un bravo cavallerizzo, ma a Sindia a quel tempo lo eri già a dieci anni, vollero vederlo a cavallo, per apprezzarne la postura e indovinarne l’abilità. In Venezuela si era abituato ad altre selle, altre staffe, anche una postura differente, altri morsi, lo spiegò, ma salì sul cavallo che gli avevano affidato, per tornare ad essere uno di loro perché loro lo sentissero tale, in quel gusto unificante che in paese ha tanta importanza. E lo guardarono ammirati perché in quei momenti era degno figlio di Tigheddu e dei suoi parenti, perché in paese ci sono famiglie di cavalieri e sono tante quanti i suoi abitanti.

Nino Nonnis (Sa Cavana [la roncola] di Aristan)

“In Venezuela si era abituato ad altre selle, altre staffe, anche una postura differente, altri morsi.”
Da IL MAGONE DELLA NOSTALGIA – Editoriale di Nino Nonnis (Sa Cavana [la roncola] di Aristan)

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