Il 21 aprile 2015 c’erano proprio tutti all’aeroporto di Cagliari: autorità politiche e religiose, rappresentanti del mondo della cultura e dello sport, giornalisti e persino intere scolaresche che sventolavano bandierine con i quattro mori. Tutti commossi ma felici, salutavano la partenza per l’Expo di Milano dei primi maialetti sardi ai quali era stato restituito il passaporto dopo anni di ingiusti soprusi e malcelate accuse di essere untori di terribili malattie. Una liberazione, la rivincita di un intero popolo, la fine di un embargo come quello cubano o iraniano, la partenza dei soldati al fronte. Peccato che i maialetti non salissero sull’aereo con le loro gambe e mostrando tanta verve, ma già morti, squartati e impacchettati, per quanto esibendo carta di imbarco. Ora, visti così, pallidi e inermi, i maialetti sardi non sembravano molto diversi da quelli cinesi, hawaiani, olandesi, tedeschi o di qualsiasi altro paese, ma apparivano proprio come un qualsiasi articolo esposto in macelleria. Perché la realtà è che il maialetto, che sia sardo o indiano, si gusta meglio solo se viene arrostito e mangiato poco lontano da dove è nato e cresciuto, difficile altrimenti distinguerne origini e sapore a Pechino, pur se servito in vassoi di sughero da camerieri che cantano a tenores col capo incinto di mirto. Ora non so quante autorità accoglieranno festanti i maialetti sardi al rientro dall’Expo, dopo la breve licenza: per loro è stata difficile la partenza, impossibile il ritorno.
Tony Cinquetti
(Etica gastronomica)
COGLI L’ATTIMO
da Frankenstein Junior (1974) diretto da Mel Brooks, con Gene Wilder