IL MIRACOLO DEL SIGNORE DELLE PIETRE


Editoriale del 5 agosto 2020

La Sardegna è terra di miracoli, anche se non tutti li riconoscono come tali: per diffidenza e a volte, ahimé, per invidia.

Uno di questi miracoli lo ha fatto Pinuccio Sciola, al quale piaceva pensare alle pietre come una sorta di guscio rigido che custodiva al suo interno il suono dell’Universo, assorbito durante il loro viaggio che lo aveva attraversato. Per questo la relazione che egli, da scultore, aveva cominciato a istituire con esse, a partire dal 1997, non era basata sul concetto cognitivo di azione/reazione: le pietre non andavano affrontate in modo percussivo, imponendo alla loro superficie una forma o una risposta come conseguenza di un atto esercitato su di esse. Occorreva invece ispirarsi al concetto socratico di maieutica, dandogli espressione concreta e materiale. Con le pietre bisognava cioè dialogare, aiutandole a “partorire” la loro interiorità, sotto forma di quel suono che esse conservano dentro di sé, e a liberarlo.

Ecco il miracolo: un autentico capovolgimento di prospettiva, rivoluzionario perché segnava il passaggio da un atteggiamento puramente cognitivo a una relazione basata principalmente sull’emozione, nel suo significato etimologico di “e-movere”, commuovere, agitare, turbare. Si apriva così un magico riferimento a tutte le possibilità di una relazione emotiva, assunta nella sua imprescindibile componente tattile, come produttrice di immagini dinamiche che toccano e ci toccano, nel senso che connettono l’universo interiore e il mondo esteriore. Per realizzare questa nuova forma di rapporto con le pietre occorreva operare sulla loro superficie superiore accarezzandola, così da interagire con essa nel modo più naturale possibile, sfruttare l’attrito delle mani calde in modo da istituire con questa superficie un rapporto autenticamente dialogico, premessa necessaria per riuscire a estrarre dall’intero volume della pietra la voce interiore, il suono che essa custodiva al suo interno. Il contatto tra la superficie della pietra e quella tattile dei polpastrelli e delle mani in tutta la loro estensione, con la loro pelle e la sua porosità tra la parte esterna e la parte interna del nostro corpo, istituiva così un canale diretto di comunicazione che proprio per questo non si arrestava all’involucro superficiale del corpo medesimo, ma penetrava dentro, in profondità, nei tessuti e negli organi, coinvolgendo l’intero corpo nella tattilità del tocco primario e costringendolo a reagire, a torcersi e a stupirsi.

Silvano Tagliagambe (Iconologo di Aristan)

Il contatto tra la superficie della pietra e quella tattile dei polpastrelli e delle mani in tutta la loro estensione, con la loro pelle e la sua porosità tra la parte esterna e la parte interna del nostro corpo, istituiva così un canale diretto di comunicazione che proprio per questo non si arrestava all’involucro superficiale del corpo medesimo, ma penetrava dentro, in profondità, nei tessuti e negli organi, coinvolgendo l’intero corpo nella tattilità del tocco primario e costringendolo a reagire, a torcersi e a stupirsi. (da IL MIRACOLO DEL SIGNORE DELLE PIETRE – Editoriale di Silvano Tagliagambe)

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