IL NEOLITICO ERA ROSA


Editoriale del 6 ottobre 2021

Dai Minangkabau dell’Indonesia, ai Nagovisi della Nuova Guinea, ai Khasi dell’india e ai Mosuo della Cina, la maggior parte delle società matriarcali che hanno resistito alla globalizzazione presentano delle caratteristiche comuni. Le costanti osservate nell’organizzazione sociale delle principali culture basate sulla figura femminile sarebbero il retaggio della civiltà matriarcale che, nel Neolitico, avrebbe preceduto quelle patriarcali. In tutte le culture matriarcali la linea di successione è matrilineare; presso molte etnie gli sposi vivono ciascuno con la famiglia d’origine e le relazioni coniugali sono basate sulle visite serali dei mariti alle mogli; e se uno dei due coniugi cessa di essere interessato all’altro basta che glielo comunichi e le visite finiscono, e anche il matrimonio. I figli vengono accuditi dalla famiglia della moglie (nonni, zii, zie, oltre alla mamma naturalmente), con la conseguenza che il rapporto tra le famiglie, o clan, risulta molto solido dato che tutti hanno una parte del proprio patrimonio genetico (qualche parente) in qualche altro clan. L’economia è basata sul principio dell’autosostentamento; la proprietà privata è quasi inesistente e alla vendita o allo scambio viene preferito il dono in quanto garanzia di continuità della relazione. Il valore fondamentale è quello della cura. Non esiste nessuna giustizia divina incombente, la cultura del sacrificio è sconosciuta e non esistono rigide prescrizioni sessuali. Insomma niente conflitti, niente discriminazioni, niente povertà, niente frustrazioni, nessuno sfruttamento della terra e delle sue risorse. La riflessione è inevitabile: se la cultura matriarcale primordiale non fosse stata travolta e cancellata tra il 4300 e il 3500 a.C. dalle aspirazioni espansionistiche dei popoli guerrieri, probabilmente oggi divorzi e separazioni non sarebbero una tragedia per i coniugi né un trauma per i figli; non ci sarebbero problemi di accudimento dei piccoli e dei vecchi; non ci sarebbe l’urbanizzazione selvaggia perché non ci sarebbe la crisi degli alloggi; non esisterebbe l’overshoot day (giorno dello sforamento delle risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno), che quest’anno ha coinciso con il 29 luglio, perché non ci sarebbe uno sfruttamento sconsiderato delle risorse del pianeta; non esisterebbero speculazioni di nessun tipo e forse nemmeno le turbe sessuali. E la Terra potrebbe continuare ad accogliere uomini e donne ancora per migliaia di anni. Certo, con il matriarcato al potere, con l’economia di autosostentamento e la proprietà privata quasi inesistente è possibile che il progresso tecnologico sarebbe magari andato a rilento, probabilmente non saremmo sbarcati sulla Luna, non avremmo degli smartphone più sofisticati ogni sei mesi, ma neanche la tecnologia laser o le tecniche per la diagnosi precoce delle malattie. Sarebbe logico a questo punto rammaricarsi per l’incapacità del genere umano di trovare l’equilibrio, la misura, quella “via di mezzo” da sempre definita come giusta. Ma non voglio fare della retorica e, soprattutto, dato l’argomento, non voglio essere fraintesa.

Marianna Vitale (Spigolatrice di Aristan)

“Non esiste nessuna giustizia divina incombente, la cultura del sacrificio è sconosciuta e non esistono rigide prescrizioni sessuali. Insomma niente conflitti, niente discriminazioni, niente povertà, niente frustrazioni, nessuno sfruttamento della terra e delle sue risorse.”
Da IL NEOLITICO ERA ROSA – Editoriale di Marianna Vitale (Spigolatrice di Aristan)

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